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di Liana Milella

La Repubblica, 17 dicembre 2023

L’ex vice presidente, in podcast e interviste, contesta le decisioni su Regeni, Cappato e Ferri. Ma guarda un po’! In questa storia il punto esclamativo ci vuole proprio. Perché il giudice, ormai ex costituzionale, Nicolò Zanon, scelto da Napolitano per la Corte nel 2014, è stato il più severo sacerdote del segreto delle camere di consiglio. Pronto a protestare anche per la più minuscola divulgazione, del tipo, per decisioni sofferte, quanti colleghi si erano schierati per una tesi e quanti per l’altra. Un censore insistente.

E un lettore permaloso di qualunque scritto, sempre con l’idea che dietro un aggettivo si potesse nascondere chissà quale strategia. Accadde il putiferio quando proprio lui finì indagato dalla procura di Roma perché la sua consorte usava l’auto dell’ufficio. Tutto fu archiviato, ma la vicenda - evidentemente - lasciò in lui la diffidenza verso la stampa. Costume assai diffuso nel centrodestra. E che Zanon appartenga a quell’area è per tabulas, visto che prima della Consulta fu il Pdl, il Partito delle libertà di Silvio Berlusconi, ad eleggerlo al Csm nel 2010. E il Cavaliere l’aveva scelto anche come uno dei giuristi che, nell’autunno 2013, sostennero la tesi che la legge Severino del 2012 non si potesse applicare a lui per un reato, la frode fiscale, commesso anni prima.

Se questo è l’uomo veniamo a oggi. L’11 novembre lascia la Corte e la vice presidenza. E si lascia anche il segreto alle spalle. Il segreto è d’oro in una Corte dove non esiste la dissenting opinion, per cui il giudice che non condivide la decisione della maggioranza non può mettere a verbale qual è la sua tesi, che cosa pensa, perché non è d’accordo. Il dissenso, le versioni contrastanti, la stessa discussione che porta alla decisione, restano chiuse nella camera di consiglio. Ovviamente può accadere che qualche indiscrezione trapeli. Ma proprio Zanon diventa il censore più rigido delle fughe di notizie. Che accade invece quando il costituzionalista si spoglia della sua veste di giudice? La sua bocca si apre. In almeno tre casi lui consegna ai giornali, sempre di destra per restare coerente, e nell’ultimo caso a un pubblico dibattito, le sue rivelazioni sulle discussioni segrete avvenute alla Corte.

Partiamo dall’ultimo caso. A Milano viene presentato il libro “La gogna. Hotel Champagne la notte della giustizia italiana” dell’ex direttore del Mattino Alessandro Barbano. E cosa dice il nostro Zanon che è tra i relatori? Fa una “rivelazione clamorosa”, come scrive Simona Musco del quotidiano Il Dubbio: “Zanon racconta per averla vissuta la spaccatura della Consulta in una camera di consiglio che di fatto schiacciò i principi costituzionali in nome di una logica corporativa. Una scelta che suscitò l’indignazione del relatore Franco Modugno che si rifiutò di sovvertire i principi costituzionali e di scrivere una sentenza diametralmente opposta a quella redatta, poco prima, nel caso che riguardava Matteo Renzi”. Giusto per spirito cronistico, merita ricordare che in una nota ufficiale emessa dall’ufficio stampa della Corte, fu bollata come “un’illazione” - parola decisamente offensiva - un’indiscrezione pubblicata da Repubblica sul possibile esito delle due vicende, quella di Ferri e quella di Renzi.

Ma non c’è solo questo episodio nelle improvvise rivelazioni che Zanon consegna ai giornali. Ancora prima di lasciare la Corte, l’11 ottobre ecco un lungo articolo della Verità in cui si dà conto di un podcast dello stesso Zanon in cui, sulla sentenza Cappato, si sostiene che fu “una soluzione che nella Carta non c’è”. Meritano di essere citati i due sommari. Il primo recita: “I giudici fanno dire alle disposizioni ciò che esse non dicono”. Il secondo: “Il punto è chi decide? C’è una giuristocrazia che non apprezzo”.

Non c’è due senza tre. Il 13 novembre, quando Zanon è ormai un ex vice presidente della Corte, consegna al quotidiano Libero un’intervista titolata “Migranti e Regeni, vi racconto i duelli dentro la Consulta”. Invitando la Corte ad adottare la dissenting opinion. Nel primo caso, rivela la sua contrarietà su una decisione che, sono parole sue, “ha dichiarato incostituzionale questo cosiddetto ‘automatismo ostativo’ in nome delle ragioni dell’accoglienza e dell’integrazione”. In precedenza, secondo Zanon, la Corte aveva deciso in altro modo. Il secondo caso è assai rilevante perché riguarda la dolorosa vicenda Regeni. E qui Zanon svela di non essere stato d’accordo con il sostanziale via libera al processo con la decisione sulla notifica agli imputati.

Inevitabile porsi alcuni interrogativi. È corretto restare nove anni alla Consulta pur tenendo dentro un simile magone, oppure sarebbe stato più coerente dimettersi? Ed è corretto, dopo aver tolto la toga, rivelare i segreti delle camere di consiglio? E infine, come si concilia l’attuale posizione aperturista di Zanon verso la dissenting opinion con la severità verso le indiscrezioni giornalistiche? Qualcosa non torna in questa storia. Soprattutto perché se tutti i giudici costituzionali, dopo aver sottoscritto le decisioni, lasciano la Corte e le criticano svelando i contrasti, di fatto incrinano, per non dire compromettono, l’autorevolezza e il prestigio della Corte stessa. E questo si risolve in un danno per il giudice delle leggi giusto alla vigilia di modifiche costituzionali promosse dall’attuale maggioranza. È solo una coincidenza se lo stesso Zanon, nell’intervista a Libero, racconta di quando, all’età di 14 anni, “aderì al Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile missina, sull’onda dell’emozione per l’omicidio di Sergio Ramelli”? “Vivevo a Biella” aggiunge. Giusto la città dove il sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro Delle Vedove ha fatto politica.