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di Vladimiro Zagrebelsky

La Stampa, 29 luglio 2023

Dell’intervento del presidente Mattarella nella cerimonia del Ventaglio, sono già stati commentati diversi passaggi specifici: in particolare quello riguardante le Commissioni parlamentari di inchiesta. V’è però un aspetto di carattere più generale e fondamentale, trasversale a tutto il discorso. Si tratta dell’invito che il presidente ha rivolto a tutti e specialmente a chi ha responsabilità istituzionali a fare al meglio la parte propria, senza pretendere di fare abusivamente la parte altrui. Il presidente ancora una volta ha richiamato l’esigenza ineludibile che i vari organismi rispettino i confini delle proprie competenze e che, a livello istituzionale, ciascun potere dello Stato riconosca l’ambito di attribuzioni affidate agli altri poteri. In una normale e virtuosa logica di collaborazione istituzionale.

Vi è nei rapporti tra le istituzioni di vertice dello Stato una questione che è fondamentale e difficile allo stesso tempo: quello dell’obbligo di ragionevolezza dell’agire delle istituzioni e del suo controllo: in particolare quando si tratti del potere legislativo. Quanto la questione sia esplosiva è dimostrato dallo scontro in atto in Israele sui confini della giustizia costituzionale, proprio con riferimento al controllo ora svolto da quella Corte costituzionale sulla ragionevolezza degli atti del parlamento e di quelli del governo. Collegata all’aspro dibattito sulla gestazione per altri, al suo divieto che si vuole stabilire “universale” e più in generale al tema della fecondazione medicalmente assistita, una questione specifica è stata recentemente affrontata dalla Corte costituzionale, con una sentenza che mi sembra esemplare. Si trattava di giudicare della compatibilità con la Costituzione della norma della legge n. 40 del 2004 che stabilisce che la volontà dichiarata da entrambi i soggetti della coppia di accedere alla fecondazione medicalmente assistita può essere revocata solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo. All’epoca della approvazione della legge quel momento era di pochi giorni antecedente all’impianto dell’embrione. Ma successivamente, dal 2009, ne è stata ammessa la crioconservazione; i tempi possono ora dilatarsi anche di molto e le condizioni della coppia nel frattempo profondamente mutare, senza che il consenso prestato possa essere revocato. Nel caso la coppia aveva divorziato e il marito non voleva più che si procedesse all’impianto dell’embrione, che avrebbe condotta alla nascita di un figlio.

La Corte costituzionale ha dovuto valutare se fosse discriminatoria la irretrattabilità del consenso del solo uomo (non potendosi nemmeno ipotizzare quella della donna, che rimane libera di rifiutare l’impianto dell’embrione): il giudizio è stato facile per la profonda diversità di condizioni della donna rispetto all’uomo rispetto alla gravidanza, tanto più se indotta medicalmente. Più complessa era l’altra questione da decidere: quella della ragionevolezza di una impossibilità di mutare opinione quando nel frattempo la situazione obiettiva della coppia sia mutata. E qui la Corte ha svolto considerazioni tanto delicate e giustificate, quanto nelle conclusioni opinabili. Opinabili come sono necessariamente quelle di tal natura. In sintesi la questione era quella della non irragionevolezza della disciplina legislativa. La Corte l’ha ritenuta con riferimento sia all’affidamento spettante alla donna, sia all’interesse del bambino alla doppia genitorialità (con i diritti e doveri che ne seguono). Ma dopo averne affermata la non irragionevolezza, e dunque la compatibilità con la Costituzione, la Corte ha ammesso che altre soluzioni sarebbero ragionevoli e dunque possibili. Ma con decisione del Parlamento legislatore.

Si tratta di un esempio di rigoroso esercizio del proprio ruolo da parte della Corte costituzionale, unito al rispetto di quello del Parlamento. Ed è anche un esempio della natura del giudizio di ragionevolezza, che è al cuore di quello di eguaglianza o discriminazione tra situazioni simili. La legittima proponibilità di soluzioni diverse, tutte non irragionevoli, rinvia innanzitutto al necessario rispetto delle opinioni altrui (qui di istituzioni diverse) e all’obbligo di armonica collaborazione istituzionale. Se infatti la Corte ha in questo caso segnato il confine della propria competenza e indicato quella del Parlamento, occorrerebbe che sempre quest’ultimo intervenisse senza ritardo. Ciò che invece non avviene le tante volte in cui la Corte riconosce che la legislazione in vigore è contro la Costituzione e che occorre che sia il Parlamento a modificarla o integrarla. Il Parlamento, sulle questioni difficili (che si dicono “divisive”) si ritrae, ritarda, omette. Ne sono esempi la disciplina del suicidio assistito o quella della condizione dei nati all’estero da gestazione per altri, vietata in Italia. La collaborazione istituzionale auspicata dal presidente Mattarella implica non solo di evitare invasioni di campo, ma anche il pieno e responsabile esercizio delle competenze proprie. Non è vero, infatti, che sempre spetti al Parlamento anche di decidere di non legiferare.