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di Franco Corleone

L’Espresso, 16 luglio 2023

Giorgia Meloni e Alfredo Mantovano hanno deciso di lanciare una crociata contro la canapa, colpevole di essere una sostanza diabolica, causa della corruzione morale dei giovani. La tesi assai ardita si fonda sulla convinzione che non vi siano droghe leggere e pesanti, ma che esista la Droga, che rappresenta il male assoluto da combattere senza esclusione di colpi. D’altronde, se il Bene deve trionfare, non sono ammessi compromessi.

Questa è la posizione alla base della legge Fini-Giovanardi, che rimase in vigore dal 2006 al 2014, quando la Corte costituzionale la cancellò perché approvata con una forzatura istituzionale, grazie all’iniziativa della Società della Ragione. Ebbene, l’ispiratore di quel testo che puniva la detenzione e il piccolo spaccio di tutte le sostanze illegali con pene da otto a vent’anni di carcere fu proprio Mantovano, che oggi - dieci anni dopo la bocciatura della Consulta - si ritrova nel governo Meloni responsabile della politica antidroga. Non si sa fin dove si spingerà la scelta proibizionista, ma gli annunci sono preoccupanti: dalla condanna delle strategie pragmatiche di riduzione del danno al sostegno indiscriminato delle comunità terapeutiche “chiuse”, sul modello della San Patrignano di Vincenzo Muccioli.

Il 26 giugno, in un’aula della Camera dei deputati, Meloni ha urlato in modo scomposto che il disastro morale dei giovani è dovuto al predominio della lobby antiproibizionista, che impererebbe nella cultura e nelle televisioni. È un falso sesquipedale, perché in Italia dal 1990 vige la legge Iervolino-Vassalli (dpr 309/90), a segnare la svolta punitiva voluta da Bettino Craxi che tradì il pensiero laico, radicale e socialista di Loris Fortuna.

Le conseguenze di quella scelta pesano sull’ingolfamento dei tribunali e sul sovraffollamento delle carceri, dove il 50% dei detenuti è incarcerato per violazioni del dpr 309/90 o per reati connessi alla condizione di emarginazione sociale di chi usa droghe. La destra di Alleanza nazionale istituì il dipartimento Antidroga, che ha avuto come capi prima il prefetto Pietro Soggiu, poi il deputato Nicola Carlesi, infine Giovanni Serpelloni, noto per la teoria dei buchi nel cervello provocati dal consumo di stupefacenti.

Un’altra conseguenza è la criminalizzazione di moltissimi giovani: dal 1990 a oggi oltre un milione e 400 mila persone sono state segnalate alle prefetture per semplice consumo e più di un milione per il possesso di cannabis, subendo gravi sanzioni amministrative. La destra di Meloni rifiuta la categoria della distinzione anche per la canapa, contrastando perfino quella terapeutica e quella industriale senza componente psicoattiva. Il furore iconoclasta dimentica il sostegno del fascismo alla produzione di canapa tessile in Italia e forse coinvolgerà anche le meravigliose lenzuola che saranno avviate al rogo purificatore.

Per fortuna - e non a caso - il vino viene salvato. Il vento è cambiato nel mondo, la cannabis è ormai legalizzata in quasi tutti gli Stati Uniti, in Canada, Uruguay e altri Paesi. In Italia è ora di riproporre un referendum che faccia decidere i cittadini tra autonomia e responsabilità, da un lato, moralismo e paternalismo autoritario, dall’altro. Contro chi vuole che la nostra Nazione sia il baluardo internazionale della reazione.