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di Domenico Quirico

La Stampa, 30 marzo 2024

Nel duello fra Occidente e Russia i valori passano in secondo piano e i golpisti sono riabilitati. L’obiettivo è fermare l’avanzata della Wagner mentre i migranti pagano il pizzo e muoiono. Ah! Il Sahelistan... dove tutto sembra dissolversi nella incandescenza immobile del deserto; e il vento che quando si leva sembra avere una follia di vendetta contro le cose; un lampo verde e azzurro, il fiume il Niger nella sua pigra corsa verso il mare, vitalità fremente che fa fronte all’oceano di sabbia giallo fino al delirio... E ancora jihadisti, colonnelli ambiziosi fino alla rivolta, presidenti corrotti, migranti e passeur, mercanti d’armi e cercatori d’oro, mercenari russi intrighi traffici golpe... Le giunte militari qui mettono una tassa sulle chiamate dei telefonini per finanziare la “lotta anticoloniale” e gli aspiranti migranti indigeni, troppo poveri perfino per pagare la traversata del deserto, scappano in piroga verso il Benin.

Ebbene sì: qui abbiamo individuato la nostra nuova Giarabub. La Quarta Sponda da oggi inizia sul fiume Niger tra coccodrilli e parchi tematici della povertà. Con popolazioni civili strette nella morsa di una guerriglia fanatica e di eserciti barbari e senza principi. Gente in uniforme o jallabia che non ha altro al mondo che il suo kalashnikov che una oscena diseguaglianza che uccide chi non ha nemmeno quello. Insomma una strage quotidiana degli innocenti diventati peggio che ostaggi, bersagli. Succedono davvero cose incredibili nelle capitali del Sahel, da sei mesi golpista e antifrancese.

L’avvicendarsi dei colonialismi da queste parti non è scandito dalle visite, irrilevanti, di ministri e presidenti. Quelli vengono a saldare il salario dei satrapucci locali in società di affari, le tangenti qui si chiamano pudicamente contributi per lo sviluppo. Quello che scandisce le successioni alle leve di comando sono i passaggi di testimone tra i “barbouze”, tra le barbe finte dei Servizi. Bene. È fatta: cacciati i francesi, insopportabilmente molesti, dal loro “pré carré”, con le valigie pronte gli americani, in questa guerra di pezzenti e di scabbiosi ma che puzza di uranio, petrolio e di soldi di trafficanti, adesso tocca a noi. Finale di partita. Liquidazione. Ruolo perfetto per infiocchettare i doppi fondi del piano Mattei. Invece di fare penitenza, di contemplare i frutti dei loro loschi commerci, i Grandi lasciano il posto agli ascari italiani. Vediamo come se la cavano con i jihadisti del califfato d’Africa e con gli spicci liquidatori della Wagner.

Incredibili i miracoli della realpolitik tropicale! Sei mesi fa maledivamo insieme all’Unione europea la perfidie dei golpisti saheliani, esigevamo il ritorno al potere dei presidenti legittimi, votavamo sanzioni implacabili per stritolare i tre Paesi più poveri del mondo. E invece… gli inviati del governo Meloni, con sorrisi un po’ imbarazzati, impalati e modesti davanti al colossale generale Abdurahamane, presidente del Consiglio per la salvezza della patria, il politburo del golpe, per chiedergli di poter collaborare, in nome dell’Occidente, a “rafforzare la sicurezza”. Che significa sconfiggere la Jihad e convincere la folle a non andare in piazza sventolando le bandiere putiniane.

Nel Sahel la Storia ha fatto passi da gigante in pochi mesi: i golpisti riuniti in un patto d’acciaio hanno creato un esercito comune, hanno incassato la revoca (per ragioni umanitarie!) quasi totale delle inutili sanzioni imposte dall’Organizzazione dei Paesi dell’Africa occidentale a cui era stata affidata dalla Francia la punizione dei colpevoli, annunciano perfino la realizzazione di una moneta comune che sostituisca “il vincolo coloniale” del franco Cfa.

Chissà se nella missione dei tre italiani è stata prevista una visita ad Agadez. Sì, “la porta del deserto” aprirebbe loro squarci forse ignoti. Una discesa dunque negli inferi del quartiere “Paesi bassi”, suggerirei al crepuscolo: lunghe code di pick-up senza targa, il contrassegno dei mezzi dei passeur che portano i migranti in Libia. Attorno un mercato vociante di venditori di turbanti, indispensabili quando si fila a cento allora sulle piste di sabbia, sacchetti di plastica con l’acqua, sigarette. Dal “ghetto”, un cespuglio di case, escono i candidati all’emigrazione, li chiamano così, che hanno atteso il giorno della partenza o il pagamento dei 450 euro, tariffa del passaggio. Si schiacciano nei cassoni, afferrano dei bastoni che servono per non essere rovesciati dai sobbalzi. Nessuno si ferma per loro, condannati a morire di sete o essere uccisi da jihadisti e briganti. Qualcuno si incolonna tranquillamente dietro i mezzi militari che una volta la settimana vanno a Nord. Se ci alleiamo ai golpisti per cercare di alzare uno sbarramento alle migrazioni forse dovremmo sapere che commettiamo un errore. La giunta militare ha appena abrogato la legge del 2015 che puniva come reato il traffico di esseri umani, negoziata in cambio di soldi con la Unione europea. I trafficanti in galera sono stati liberati. E sono tornati al lavoro. Ad Agadéz la gente ha applaudito, qui i migranti sono un lavoro, l’unico antidoto alla fame.

Un’altra trasferta utile a rendere palpabili le cartine per gli strateghi della campagna d’Africa sarebbe nella cosiddetta area delle tre frontiere, all’incrocio tra i tre paesi saheliani: luogo impervio, zona proibita, lì comanda Al Qaeda. Uno dei buchi neri del mondo con una densità di violenza e di sofferenza per cui non sono più rovina, neppure guerra. Sono il Nulla.

Sente levarsi voci di protesta: Ma insomma se non andiamo noi laggiù lasciamo via libera a Putin, alla sua occupazione dell’Africa che marcia a fianco di quella dell’Ucraina e dell’Europa! E se una volta invece di dar retta a strateghi da quattro soldi ci chiedessimo: i dannati del Niger, del Sahel che senso danno alla Storia che vivono, guerre innominate con decine di migliaia di morti, quotidianità di carestie, corruzioni e ladrocini? Il Grande Gioco mondiale ha lo stesso rilievo che gli diamo noi? O non è semmai il sopravvivere? Non sono loro i soli di cui, in definitiva, dovrebbe importarci il destino? Il loro punto di vista, semplicemente, nulla di più: per vedere i nostri grandi e nobili valori geopolitici ridursi a disordine, sarabanda di ombre tutte egualmente aberranti, un morire ogni giorno senza sapere perché. Chiederlo a loro, dico, invece di fare salotto con il golpista Abdourahamane Tiani.