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di Alessandra De Vita

Grazia, 12 gennaio 2023

Le indagini sul suicidio di una giovane mamma in cella hanno rivelato le condizioni di vita insostenibili delle detenute italiane. A Grazia parla chi conosce quei luoghi nati per contenere la violenza maschile e del tutto inadatti a ospitare tante ragazze con i loro figli.

Prima di togliersi la vita, Donatella Hodo aveva scritto alla conduttrice tv Maria De Filippi: “Aiutami a cambiare vita”, si legge nella lettera della 27enne, detenuta per spaccio, ritrovata dal padre pochi giorni fa, ad alcuni mesi dalla morte della figlia, avvenuta nella notte tra l’1 e il 2 agosto 2022. Donatella è una delle 84 persone che si sono suicidate in una cella nel 2022, un numero altissimo.

Il giudice di sorveglianza che seguiva la ragazza, Vincenzo Semeraro, ha chiesto scusa alla famiglia per non essere riuscito a salvarla, per non avere capito il suo disagio attraverso i loro colloqui. Ha detto: “Io penso che il carcere, così com’è, sia pensato per gli uomini e non per le donne. Perché tende a contenere la violenza e l’aggressività, che sono caratteristiche tipiche dell’uomo. Un penitenziario su misura per le donne dovrebbe esplorare di più l’ambito emotivo. La donna in carcere è un soggetto doppiamente debole: necessiterebbe di una tutela maggiore”.

Conferma questa visione Rita Bernardini, presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino. “Visito quasi una struttura al giorno, ci sono carceri senza neanche un educatore che possa aiutare i detenuti a risolvere il problema che li ha portati dentro”, dice l’ex deputata Radicale, che da tempo lotta contro le precarietà del sistema penitenziario. “In carcere c’è tutto il disagio sociale: stranieri, tossicodipendenti, poveri e casi psichiatrici. La maggior parte delle strutture sono fatiscenti, dovrebbero essere chiuse.

Hanno solo docce esterne sporche e ammuffite. Se vivi in un ambiente di degrado non è facile alimentare buone propensioni, c’è tanta disperazione. Nessun governo ha fatto niente per adeguare queste strutture alle leggi. Il magistrato di sorveglianza dovrebbe conoscere uno a uno i detenuti e organizzare un programma individuale di trattamento per il loro reinserimento ma questa legge non viene applicata”. Secondo l’Osservatorio sulle carceri Antigone, nel 2022 le donne detenute erano 2.276, più del 4 per cento dei presenti, di cui 576 ospitate all’interno delle quattro carceri femminili in Italia. Le altre sono rinchiuse nelle 46 sezioni femminili delle carceri maschili.

Michele Miravalle, responsabile dell’osservatorio delle condizioni di detenzione di Antigone, racconta: “Per quanto riguarda i servizi sanitari e igienici, dei 24 istituti con donne detenute visitati da Antigone solo poco più della metà disponeva di un servizio di ginecologia e uno su cinque un servizio di ostetricia”.

Le criticità delle carceri femminili sono confermate dalla Garante dei detenuti di Roma, Gabriella Stramaccioni: “Il Covid”, spiega, “ha sconvolto il mondo penitenziario: ciclicamente gli istituti vengono chiusi alle visite per prevenzione. Questo acuisce l’isolamento e la lontananza delle donne dai propri figli e provoca crisi di depressione che spesso rendono la detenzione insostenibile. Molte donne fanno uso di farmaci per sopravvivere. L’ordinamento penitenziario risale al 1975 ed è stato pensato al maschile. Il fatto che il numero di detenuti maschi sia sempre molto più alto ha fatto sì che le esigenze delle donne fossero generalmente trascurate”.

Racconta questo disagio chi l’ha vissuto sulla propria pelle. Anna Repichini, 72 anni, è stata negli ultimi anni a Rebibbia, il carcere femminile più grande d’Europa. “La mia prima volta in cella è stata nel 2000. Quando ci sono tornata nel 2015, ho visto che non era cambiato nulla. Stesse stanzette, in sei in una cella piccolissima con solo un lavandino, usato anche per piatti e pentole, e un gabinetto senza privacy. Non c’è un bidet né uno specchio per vedere se ti sei pettinata bene. Per le più giovani è terribile ed è anche per questo che nascono coppie, ma non tutte sono realmente omosessuali. Quando sei dentro, la mancanza di affetto viene colmata dall’approccio di una donna più mascolina. Io e mia figlia, che è stata incarcerata con me, ci siamo sostenute a vicenda. Non abbiamo nulla. E uscire dal penitenziario è anche più duro di quando ci entri”.