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di Antonella Mascali

Il Fatto Quotidiano, 9 giugno 2023

“Il meccanismo della giustizia riparativa può scattare subito, ma in certi casi è offensivo”. Sebastiano Ardita, ex consigliere del Csm, è tornato a fare il procuratore aggiunto a Catania. Sull’assassinio di Giulia Tramontano, che aspettava un figlio, ha accantonato asettici tecnicismi e ha fatto capire a tutti come un assassino, con la riforma Cartabia, potrà chiedere subito un percorso di giustizia riparativa.

Dottor Ardita, ci spieghi...

La riforma prevede che sin dal primo atto l’indagato deve essere informato della facoltà di accedere a percorsi di giustizia riparativa. Dal momento che la giustizia riparativa è una cosa seria e presupporrebbe una elaborazione della propria condotta, oltreché la certezza della responsabilità penale, ritengo che sia improponibile che immediatamente dopo l’arresto si possano avviare questi percorsi, anche per rispetto delle vittime dei reati. È offensivo, oltreché pericoloso, che un indagato per violenza sessuale o per omicidio, possa chiedere di incontrare la vittima o i parenti prima ancora del processo.

È vero che potrebbe cavarsela con dieci anni di carcere?

Se sarà condannato e avrà attenuanti per la confessione o il beneficio per il percorso della giustizia riparativa, fra liberazione anticipata e misure alternative o libertà condizionale, potrebbe uscire dal carcere dopo una decina di anni, come è già accaduto ad altri.

La riforma Cartabia ha trasformato reati a procedibilità d’ufficio in procedibili solo a querela come la minaccia o il sequestro. Il Parlamento ha corretto solo nel caso in cui quei reati siano commessi con l’aggravante di mafia o terrorismo. È sufficiente?

Assolutamente no. Nella gran parte dei casi la procedibilità a querela andrà a danno dei più deboli tra le vittime dei reati. La minaccia e la violenza potrebbero servire a scoraggiare anche la testimonianza o la denuncia dei semplici cittadini.

Il ministro Nordio ha annunciato le riforme dell’abuso d’ufficio e del traffico di influenze nonostante le convenzioni in merito ratificate dall’Italia…

Il reato di abuso non ha dato grande prova di sé in termini di condanne, ma può essere un reato-spia di corruzione e di altre fattispecie gravi. Il traffico di influenze contrasta un malcostume che rende a volte difficile ai cittadini accedere a ciò che loro spetta senza passare dal clientelismo e dal malaffare amministrativo. In generale, mi sembra impensabile tenere fuori dal contrasto penale il perseguimento di interesse privato da parte di chi svolge una funzione pubblica.

La nuova direttiva Ue, in discussione, tra l’altro, propone che i Paesi membri prevedano pene amministrative come quelle della legge Severino. Nordio, però, vorrebbe cancellare quella legge e la riforma Cartabia l’ha scavalcata dato che si può patteggiare in cambio dell’esclusione della sua applicazione su incandidabilità…

Nell’interesse dello Stato, chi ha commesso gravi infedeltà nello svolgimento di funzioni istituzionali dovrebbe rimanere fuori per sempre da qualsiasi ruolo pubblico. Questa dovrebbe essere intesa come una norma di sicurezza generale a tutela della collettività, e non come una sanzione per il singolo.

In conclusione, una riflessione sulle violenze di esponenti delle forze di polizia. Le ultime sono di alcuni poliziotti a Verona. A Milano una transessuale è stata picchiata da tre vigili; a Livorno un carabiniere ha dato un calcio in testa a un ragazzo a terra. Da magistrato come commenta?

Sono fatti gravissimi ed esecrabili. Se si pretende rigore nell’applicazione della legge, questo vale a partire da chi svolge ruoli pubblici.