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di Mattia Feltri

La Stampa, 15 aprile 2023

Otto anni fa un inviato delle Iene inseguì Guia Soncini per strada, sotto minaccia di microfono, e fino all’ingresso di casa, oltrepassando due portoni dotati di serratura, poi non ricordo se in ascensore o per le scale, allo scopo di spillare alla preda una dichiarazione a maggior gloria del giornalismo investigativo, diciamo così.

Infatti Guia era indagata - per una quisquilia, finita più avanti con l’archiviazione - e tempi ed esigenze della verità processuale non coincidono con quelli della verità televisiva, che ha tempi stretti ed esigenze pressanti, e la pedinata non deve rompere più di tanto. Otto anni dopo, l’inviato è stato condannato in Cassazione per violenza privata e cioè il microfono non è un lasciapassare, non si può fare tutto, non si può andare ovunque, persino gli indagati godono del diritto di non partecipare allo show, perlomeno non a casa, se non gli va.

Qualche giorno fa una giornalista dell’Ansa, Francesca Brunati, ha scritto la storia di una donna di tali condizioni da vivere in un capannone dove ha partorito un figlio, poi abbandonato in ospedale. Sono storie molto richieste, ultimamente. Francesca la scrive con scrupolo, in modo che la madre non sia individuabile né raggiungibile, ma subito - racconta su Facebook - la chiama l’inviata di una trasmissione pomeridiana: le servono nome e indirizzo. La povera donna deve essere raggiunta, ripresa, intervistata: bisogna che partecipi allo show, il lasciapassare è il microfono. Francesca ha trovato le parole adatte: mandata al diavolo la collega. Bè, due buone notizie in un solo articolo, una giornata davvero niente male.