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di Raul Leoni

 

gnewsonline.it, 14 novembre 2019

 

"Passare il tempo a guardare il soffitto della tua cella ti rende cattivo, il lavoro ti fa sentire orgoglioso": è la confessione fatta, con la voce spezzata dall'emozione, dal detenuto Giuseppe Camillo. Proprio lui, 52 anni, è un "veterano", l'ultimo ancora in carcere tra i partecipanti al primo progetto legato ai servizi di pubblica utilità, realizzato dall'istituto romano di Rebibbia.

E proprio a Rebibbia, capofila delle iniziative "Mi riscatto per...", il ministro Alfonso Bonafede ha voluto rilanciare un progetto che ora assume una dimensione nazionale grazie alla istituzione dell'Ufficio centrale per il lavoro dei detenuti: "Non condivido la visione di una giustizia confinata in un perimetro - ha detto il Guardasigilli - che sia quello delle aule di tribunale o di una cella. Se questo è il comune sentire è ora di scardinarlo, presentando una giustizia senza confini, a spazio aperto".

Pur non rinnegando le sue posizioni sulla certezza della pena, il Guardasigilli rivendica la validità di un indirizzo che trova il suo fondamento nella Costituzione e in cui il ruolo della Polizia Penitenziaria diventa centrale: "Io sono considerato un ministro giustizialista, ma il modo migliore per garantire la sicurezza dei cittadini è quello di preparare i detenuti a un adeguato reinserimento nella società: facendo loro acquisire tesori di competenze e esperienze professionali attraverso la dignità del lavoro".

Con i "lavori di pubblica utilità" si è partiti nel 2018 in cinque città: l'iniziativa si è poi diffusa sul territorio grazie alla sottoscrizione di circa 70 protocolli che hanno coinvolto oltre 4.500 detenuti a rotazione. Ora il Capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Francesco Basentini, ha costituito la nuova unità centrale per coordinare in modo strutturale i servizi già avviati e allargare il programma volto al reinserimento socio-lavorativo dei soggetti in espiazione di pena: "Il Dap, con l'indispensabile collaborazione della magistratura di sorveglianza, si è messo in gioco al di là dei protocolli - ha precisato Basentini - dalle singole convenzioni si è passati a un'architettura di sistema, perché siamo convinti che per i detenuti non ci possa essere una reale prospettiva di recupero senza il lavoro".

Un modello che viene ritenuto attraente anche all'estero, se è vero che il delegato messicano alle Nazioni Unite ha voluto mutuarlo in patria attuando un organico programma di cooperazione tra Italia e Messico nell'area del reinserimento sociale per le persone private della libertà. A confermare l'efficacia del progetto, le parole di un altro detenuto di Rebibbia, Maurizio Dell'Unto: "Tra otto mesi uscirò e da uomo libero mi ricorderò che il lavoro, il nostro lavoro è bellissimo e lo facciamo con impegno perché vogliamo rendere Roma più bella".