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di Francesca Spasiano

Il Dubbio, 25 marzo 2024

“La lingua è sempre potere: chi più lingua sa, più potere ha”, dice Stefania Cavagnoli, docente di linguista generale e applicata all’Università Tor Vergata di Roma. E ciò vale soprattutto per il linguaggio giuridico, di cui l’esperta di occupa: non solo perché è complesso, vago, e talvolta inutilmente oscuro. Ma perché attraverso il linguaggio si esercita anche il più “terribile” dei poteri: scrivere il destino di un cittadino che incappa nelle maglie della giustizia.

Partiamo dalle basi: qual è la specificità del linguaggio giuridico, rispetto ad altri linguaggi specialistici?

La sua caratteristica principale è di tipo culturale: il linguaggio giuridico è sì specialistico, ma è fortemente ancorato alla realtà che disciplina. Pur nella somiglianza con altri sistemi giuridici, anche continentali, non solo anglosassoni, c’è una specificità che è propria di un determinato contesto sociale e culturale, in questo caso quello italiano. La seconda caratteristica è la vaghezza, che è propria del linguaggio giuridico in quanto il testo deve essere interpretato: non è possibile pensare a una regolamentazione specifica per ogni caso che si può sviluppare. Questo è il motivo per cui il testo giuridico, pur essendo specialistico, quindi preciso e referenziale, è un testo che permette, anzi obbliga all’interpretazione.

C’è un terzo aspetto?

Forse il conservatorismo della lingua, rispetto ad altri linguaggi specialistici italiani. Un certo prestigio dato anche da determinate scelte linguistiche: penso nello specifico ai latinismi, ai brocardi, alle formule di rito. Un linguaggio che, se pensiamo anche alla letteratura, è stato usato in modo asimmetrico per non farsi capire, invece che per farsi capire. Nella Costituzione abbiamo un testo giuridico che è comprensibile, e abbiamo il diritto di comprenderlo. Molto spesso, invece, in un rapporto asimmetrico di potere fra esperti e non esperti, il testo viene utilizzato nella concretizzazione del potere.

Lei spiega che il linguaggio giuridico è una “varietà di potere”. In che modo?

La lingua è potere, in generale: chi più lingua sa, più potere ha. E nell’ambito del diritto, abbiamo una regolazione dei rapporti fra le istituzioni, fra Stato e cittadini, o fra cittadini e cittadine, per cui il linguaggio giuridico diventa norma. Quindi ha un peso “performativo”: è necessariamente di potere. In più c’è la questione della relazione asimmetrica tra uno specialista e una persona che non è competente in quell’ambito.

Un’asimmetria inevitabile?

Qui si mette in atto una conoscenza e non il potere della conoscenza. Deve cambiare il modo di spiegare le cose: se in una comunicazione orizzontale fra un’avvocata e un giudice la comunicazione può essere complessa e diretta, in quella fra un’avvocata e una cliente deve essere spiegata, pur senza perdere la specificità del linguaggio.

Dunque, ci sarebbe una volontà esplicita di “escludere” l’interlocutore dalla comprensione del testo, esercitando il proprio “dominio” linguistico...

Dipende dalla tipologia del testo. Prendiamo la Costituzione, un testo che tutti e tutte dovremmo leggere e conoscere: soprattutto per quel che riguarda la prima parte, i principi fondamentali, è un testo altamente comprensibile. Poi ci sono delle tipologie testuali che non necessariamente devono essere comprese dalla cittadinanza: una memoria presentata al giudice, ad esempio. Insomma, ci sono testi che possono essere tecnici, ma devono essere filtrati, cioè, spiegati a chi non ha quelle competenze. Ma il discorso del potere è legato un po’ anche alla deontologia professionale.

Cioè?

C’è un potere di modificare le cose, di distruggere o salvare una persona, a livello processuale. Un potere che può essere considerato anche in modo positivo, nel senso di capacità, ma bisogna rendersi conto del contesto comunicativo in cui ci si trova ed essere consapevoli di avere un potere, a partire da quello linguistico, sulle persone con cui si comunica.

Il linguista Luca Serianni sosteneva che se la Costituzione e i Codici possono ritenersi sufficientemente chiari, lo stesso non può dirsi per alcuni testi inutilmente astrusi. Come la classica circolare...

Intanto distinguerei fra testo giuridico e testo amministrativo, il quale rientra in una routine comunicativa. Non possiamo dimenticare che il linguaggio amministrativo italiano aveva bisogno di essere pomposo, complesso e altisonante perché non esisteva una lingua nazionale. Dagli anni Novanta in poi, con gli interventi di Sabino Cassese, i testi avrebbero dovuto essere più semplici. Ma ancora oggi sono scritti secondo regole che non favoriscono la comprensione da parte della cittadinanza e questo è ancora più grave perché con l’amministrazione abbiamo tutti a che fare tutti.

Che fare, in proposito?

Andrebbero riscritti, anche utilizzando l’indice di leggibilità di Tullio De Mauro. Forse bisogna ricordare che la Costituzione è stata frutto di una lunga revisione linguistica, non da parte di giuristi ma da parte, allora, di letterati: la via potrebbe proprio essere quella di far collaborare giuristi e linguisti nella strutturazione dei testi.

L’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli propose di far iscrivere il codice penale a Leonardo Sciascia...

Io penso che il testo giuridico debba necessariamente essere rivisto con un occhio interdisciplinare. Cioè con esperti, che un tempo erano elettorati, oggi studiosi e studiose in ambito linguistico.

Si dice che la lingua riflette la società. In che modo ciò vale per il nostro Codice penale, ad esempio?

Il diritto regola i rapporti in una determinata comunità linguistica e si adegua alla comunità, così come fa la lingua. Possiamo pensare ad alcuni reati che non lo sono più, come l’omosessualità o il delitto d’onore. Quando cambia la regolamentazione giuridica, cambia anche la connotazione in ambito linguistico. Le due cose sono strettamente legate.

Riscrivere, dunque?

Io partirei dalla riscrittura dei codici in senso inclusivo, adeguandoli alla società che cambia. Cominciando col sostituire un’unica parola: “uomo” con “persona”. Che in questo caso non considera neanche la presenza femminile. Ci sarebbe tanto, da riscrivere.