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di Massimo Franco

Corriere della Sera, 13 luglio 2023

Giorgia Meloni ha negato un conflitto con le toghe. Ma questo non significa che le tensioni non esistano. Forse Giorgia Meloni non parlava solo ai giudici, ma anche alla sua maggioranza quando ieri ha negato un conflitto con la magistratura. “Non c’è da parte mia”, ha precisato. E “chi confida in un ritorno dello scontro resterà deluso”. Non significa che le tensioni non esistano, né che scompariranno presto.

Alla fine del vertice Nato a Vilnius, in Lituania, la premier ha blindato il ministro Daniela Santanchè e il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro: seppure solo per alcune “anomalie” procedurali che sostiene di avere accolto “con stupore”, senza entrare nel merito.

Dettaglio vistoso, e in apparenza contraddittorio, ha anche rivendicato la nota anonima di Palazzo Chigi che cinque giorni fa parlava di una magistratura “all’opposizione” del governo in vista della campagna elettorale per le Europee del 2024. Ma la sensazione è che Giorgia Meloni stia cercando di evitare un peggioramento ulteriore dei rapporti. Pur tenendo ferma la volontà di una separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, si è augurata che la riforma sia fatta “col contributo” dei magistrati. Insomma, Palazzo Chigi sembra proporre una tregua, ma alle proprie condizioni.

Le uniche parole esplicitamente critiche sono state per il presidente del Senato, Ignazio La Russa: la carica istituzionale più alta di FdI. Meloni ha spiegato che comprende il dolore di “Ignazio” per l’inchiesta per stupro su uno dei suoi figli. Ma “non sarei intervenuta nel merito della vicenda”. E “tenderei a solidarizzare per natura con una ragazza che denuncia. Non mi pongo il problema dei tempi”. È una presa di distanza che ha lo scopo di disarmare i suoi critici distinguendo tra le varie questioni, e cercando di sottrarle alla polemica politica.

Operazione arrischiata, anche se lascia in sospeso qualunque decisione futura. Dire, come ha fatto la premier, che non basta un avviso di garanzia per provocare le dimissioni di un ministro, è una posizione difficilmente contestabile. Di più, è il segno di una cesura rispetto agli anni di un populismo giudiziario dal quale pochi sono stati immuni. Il problema si porrebbe se Daniela Santanchè, titolare del Turismo, fosse rinviata a giudizio. Le opposizioni, però, la accusano di avere mentito al Parlamento. E questo le porta a puntare il dito contro di lei e contro Meloni che la difende. Non bastasse, la Lega si dice pronta a “prendere atto” di un passo indietro di Santanchè. La preoccupazione della premier, ieri, era quella di uscire dall’angolo di un silenzio imputatole dagli avversari come reticenza o, peggio, fuga. Voleva recapitare un messaggio almeno in parte distensivo alla “stragrande maggioranza di magistrati” che cercano di capire quale sarà alla fine la riforma della giustizia. Ma è chiaro che si tratta dell’inizio di una partita difficile, e non della sua archiviazione.