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di Anna Oliverio Ferraris

La Stampa, 20 ottobre 2023

“Quando la violenza diventa una costante nella vita quotidiana la mente dei più piccoli entra in confusione: perché tanto odio”. Le guerre sono un enorme disastro per tutti. Sia dal punto di vista fisico che psicologico. Sappiamo che anche i soldati subiscono traumi psichici sul terreno di guerra i cui effetti possono manifestarsi anche a distanza di tempo, quando si è tornati a casa, come nel film di Clint Eastwood “Gran Torino” in cui un veterano non riesce a controllare la propria aggressività in un ambiente assai diverso dal fronte.

Le scene di violenza, gli orrori, le esplosioni, i morti, i feriti riemergono sotto forma di flash back improvvisi e persecutori (sindrome post traumatica da stress) con tutta la loro carica di emozioni, di paura, di angoscia, di ingiustizia, di sensi di colpa che spesso finiscono per sfociare in violenze verso sé stessi o i propri familiari.

Se questo succede ai soldati, che pure hanno armi per difendersi, cosa può succedere a dei bambini in zone di guerra che si trovano impotenti al centro di bombardamenti, incendi, esplosioni, cadaveri, sangue, ululati di sirene, sentono gli adulti urlare e li vedono piangere? Che ne restino segnati è inevitabile. A parte le paure in sé che lasciano tracce nella memoria e nel sistema nervoso, a volte per tutta la vita, e che possono riemergere sotto forma di incubi in qualsiasi momento, e a parte anche i danni che può subire il loro sistema immunitario (danni a cui in genere non si presta la necessaria attenzione ma che rendono le persone più fragili e più inclini ad ammalarsi), ciò che più colpisce un bambino è rendersi conto che gli adulti, non solo non sono in grado di proteggere lui, i suoi fratelli, gli amici e i compagni di scuola, ma che hanno completamente perso il controllo delle proprie vite.

Esplodono le case, gli ospedali, le scuole ma esplode anche tutto quel sistema di regole che gli adulti insegnano ai bambini, tra cui quelle di non aggredirsi e di fare la pace dopo che si ha litigato. Di fronte alla dissoluzione fisica e psicologica prodotta dalla guerra, la mente di un bambino entra in confusione. Di chi potrà fidarsi? Chi lo proteggerà d’ora in avanti? Chi gli farà da guida in un mondo così ostile? Perché tanto odio? Per un bambino il senso di protezione da parte dell’adulto, in particolare i suoi genitori e familiari, rappresenta la base sicura su cui sviluppare la propria emotività, la propria socialità, la propria vita.

Quando lo stato di precarietà e di violenza diventa una costante della vita quotidiana, una possibile evoluzione negativa, con la crescita, è quella di perpetrare le stesse violenze di cui si è stati vittime e a cui si è assistito: una sorta di coazione a ripetere legata non soltanto alla volontà di rivalsa ma anche a un orientamento della personalità in senso ostile. È così che i conflitti tendono a perpetuarsi da una generazione all’altra, per cui ad essere stravolti non sono soltanto gli individui ma tutta la collettività che sprofonda in uno stato di lutto permanente e irrimediabile.