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di Giuseppe Maria Berruti

La Stampa, 25 dicembre 2023

La generazione alla quale appartengo, economicamente tranquilla, del tutto inconsapevole del futuro per la buona ragione che non lo vivrà, non appare credibile per proporre un modello che risponda alle domande di adeguamento della democrazia.

Brutto Natale. La retorica, che è parte della sua dolcezza, quest’anno funziona meno. Contraddetta da una realtà spaventosa. Nella quale tutto il male possibile sembra si stia realizzando contemporaneamente.

La guerra in Ucraina, nella quale si fronteggiano secolari ed altrettanto antichi interessi nazionali, rispetto ai quali non si è nemmeno pensato di anteporre, quando era possibile, una azione politica, continua stancamente attraverso riti politici apparenti. Aiuti militari, attese di sviluppi sul campo, paiole prive di visione strategica.

La tragedia palestinese israeliana, che vede tutte insieme realizzate le contraddizioni originate dalla decisione occidentale del 1948 di consentire agli ebrei di fondare un proprio Stato, prendendosi un pezzo di casa di altri. Ancora una volta nell’assoluta assenza di lungimiranza e, quindi, di azione politica.

Le politiche nazionali. Quella statunitense che vede contendersi interessi ambigui, talvolta coincidenti tra le diverse fazioni, ma tutte comunque accomunate dalla sottovalutazione dell’Europa, e, appunto, quelle europee. Tentennanti, incerte, legate a fortissime logiche dipendenti dai nuclei più forti al suo interno.

L’Italia, infine. Nella quale una legittima maggioranza deve fare i conti con il suo carattere certamente costituzionalmente inaspettato. La mens legislatoris che dette luogo alla Carta non immaginava, non riteneva possibile, un esito elettorale capace di portare al potere forze e culture oggettivamente discendenti da gruppi nostalgici del fascismo e comunque estranei al suo rifiuto. Così da rendere, nella realtà politica, difficile la stessa intesa pratica che è sottostante al funzionamento delle democrazie parlamentari. Nelle quali l’opposizione legittima, proprio con la sua azione, l’attività non condivisa, della maggioranza. Non vi è insomma il riconoscimento all’avversario politica della appartenenza ad una comune visione costituzionale.

Tutto questo tormento italiano si contorce dentro una realtà che vede una vera crisi delle democrazie basate sulle libere elezioni. Che la spaventosa fase del Covid, con la tremenda sospensione della socialità cui ci ha indotto, e dunque con la perdita del senso politico del confronto sostituito dalle comunicazioni elettroniche, sta portando la convivenza umana, nelle nazioni e tra di esse, verso territori inesplorati.

Vi è da essere molto preoccupati. E per me, che non riesco ad essere fatalista e non mi attendo in via di principio sorprese positive dal futuro, la preoccupazione è grande. È evidente che la generazione alla quale appartengo, anziana, economicamente tranquilla, del tutto inconsapevole del futuro per la buona ragione che non lo vivrà, non appare credibile per individuare e per proporre un modello di organizzazione sociale che risponda alle domande di adeguamento della democrazia.

Manca, mi pare, una visione stabile e pertanto identificante e riconoscibile dei partiti in quanto tali. I partiti si comportano come partecipi, gestori, e quindi aspiranti al potere, ma un potere, io temo, solo in quanto tale. Che non è caratterizzato da scelte presentate come tali. Non sono più partiti insomma intesi come gruppi caratterizzati da una appartenenza ideale che deve differenziare la propria proposta di governo. Sono essi, in astratto, utilizzabili per qualunque scelta dovesse rendersi possibile, alla semplice condizione di comandare.

Non so, dunque cosa accadrà. Non so dire se la discussione tra soggetti che si riconoscono legittimità reciproca, continuerà ad essere la sede delle decisioni politiche. E dunque la madre delle scelte. Chiedo scusa per il mio pessimismo. Che, se è consentito richiamare un grande, dolorante testimone del nostro tempo, Papa Francesco, non mi sembra solitario. Buon Natale, come si deve ancora dire.