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di Leonardo Filippi

Il Riformista, 29 gennaio 2024

Il bel Paese è anche il Paese delle intercettazioni. Infatti, l’impiego di questo insidioso ed invasivo metodo di indagine in Italia è stato progressivamente ampliato, aumentando di anno in anno i casi nei quali è ammesso. Basta leggere gli artt. 266 e 266-bis c.p.p. per rendersi conto che il numero dei reati che consentono l’intercettazione è stato progressivamente esteso. Ma l’armamentario intercettativo non si ferma alle intercettazioni disposte al fine di consentire la prosecuzione delle indagini. Infatti, esistono anche le intercettazioni che, pur avendo la finalità di agevolare le ricerche del latitante, la giurisprudenza ritiene però utilizzabili anche come prove del reato. Senza considerare le intercettazioni preventive, che hanno una funzione di pubblica sicurezza, cioè mirano alla prevenzione dei reati. Da qualche anno, ha fatto ingresso nelle indagini il virus trojan e, prima ancora che ci fosse una legge ad ammetterlo, le Sezioni unite della Corte di cassazione l’hanno legittimato, in spregio alla riserva di legge ex art. 15 Cost. Si ammette persino l’intercettazione all’estero quando l’attività di captazione avviene con la tecnica dell’instradamento su ponti telefonici italiani utilizzati per la fatturazione, fingendo così che l’intercettazione si sia svolta in Italia e che pertanto non richieda alcuna cooperazione internazionale. L’ultima frontiera dell’invasività investigativa riguarda l’intercettazione dei criptofonini.

Che iniziata in Francia con l’intercettazione addirittura del server e quindi la captazione in massa di tutti gli utenti della piattaforma SKY ECC, non tarderà a trovare proseliti anche in Italia. Vi è anche una disciplina speciale, che attenua i presupposti dell’autorizzazione all’intercettazione e che, introdotta nel 1991 per fronteggiare la criminalità organizzata, è stata estesa a reati di ogni tipo. Se poi si tiene conto della facilità con cui i giudici per le indagini preliminari autorizzano le intercettazioni, di solito su un prestampato contenente formule ripetitive delle disposizioni codicistiche, talvolta con motivazione per relationem alla richiesta del P.M., il quale spesso richiama la richiesta della polizia giudiziaria, si comprende la ragione dell’altissimo numero di intercettazioni nel nostro Paese. È nota la ricerca di qualche anno fa del Max Planck Institute, secondo il quale l’Italia è il paese “più intercettato del mondo”, con 76 intercettazioni ogni 100.000 abitanti. Si aggiunga che è assai arduo far dichiarare l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, in quanto la giurisprudenza afferma che tale inutilizzabilità implica l’onere della parte, a pena di inammissibilità del motivo per genericità e aspecificità, di indicare, specificamente, l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato e la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, imponendo così al difensore di effettuare lui la cosiddetta prova di resistenza, che dovrebbe invece essere riservata al giudice.

A fronte di una così aggressiva investigazione, i diritti della difesa, che sono necessariamente successivi alle operazioni di intercettazione, sono ridotti al lumicino. È sufficiente considerare che dovette intervenire la Corte costituzionale per riconoscere al difensore dell’indagato, sottoposto a misura cautelare personale, il diritto ad una copia delle conversazioni intercettate e utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate. Ed anche ora si afferma in giurisprudenza che il difensore che propone il riesame non può chiedere copia di tutte le intercettazioni eseguite ma ha l’onere di presentare una richiesta di accesso e acquisizione degli esiti captativi che sia specifica, ossia formulata in termini tali da indicare, con precisione, i files delle captazioni di cui chiede l’autorizzazione all’ascolto e il rilascio di copia, sicché, in mancanza di tali indicazioni, il ritardo del pubblico ministero a provvedere non può ritenersi ingiustificato e l’eventuale mancato accesso della difesa agli atti non determina alcuna nullità del procedimento: resta da capire come possa il difensore, che non conosce il contenuto delle intercettazioni, indicare, con precisione, i files di interesse per la difesa.

Com’è noto è vietata l’intercettazione delle comunicazioni del difensore con il proprio assistito e tale divieto è rafforzato da un ulteriore divieto di utilizzazione dei risultati in tal modo ottenuti: ma la giurisprudenza consente sempre l’intercettazione della comunicazione tra difensore e assistito limitandosi ad accertarne caso per caso e solo a posteriori il contenuto e, soltanto se ne riconosce la natura difensiva, la registrazione è dichiarata inutilizzabile. Non è migliore l’aspetto relativo alla tutela della riservatezza, vista la quotidiana diffusione di conversazioni su fatti estranei alle indagini. Insomma, un quadro legislativo e giurisprudenziale veramente desolante e irrispettoso sia dell’”inviolabile” segretezza delle comunicazioni, sia della privacy, sia del diritto di difesa. Si può perciò concludere, senza esagerazioni, che l’Italia è una Repubblica fondata sulle intercettazioni.