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di Giuseppe Gargani

Il Dubbio, 21 luglio 2023

L’attuale contrasto tra la magistratura e la politica, è la ripetizione di una mediocre polemica strumentalizzata dai magistrati ma in particolare dalla sua Associazione e dai rappresentanti della maggioranza di governo la quale non sa ancora se approvare le modifiche legislative del ministro Nordio che sono importanti ma non configurano una riforma della giustizia. Il contrasto tra la magistratura e il potere politico è ben altra cosa, non è una bega, né un complotto ma un problema serio delicatissimo che hanno le democrazie moderne caratterizzate da una giurisprudenza che prevale sulla legge: questo ha determinato nella storia il perenne conflitto tra i “signori del diritto”per ricordare il titolo di un libro illuminante di Ortensio Zecchino.

Le proposte del ministro Nordio sono importanti ma per determinare un equilibrio istituzionale che oggi è compromesso: bisogna disciplinare un nuovo ruolo del magistrato e un rapporto diverso con le altre istituzioni. La tendenza di fondo è quella di superare in qualche modo la legge con la giurisprudenza che si è accentuata per la profonda crisi della politica che ha consentito la supplenza piena della magistratura e il superamento del dettato costituzionale che prevedeva “un ordine autonomo e indipendente” di una magistratura “bocca della legge” e questo è superato nei fatti. Da anni sostengo che “l’autonomia” ha avuto un’assoluta prevalenza tant’è che i magistrati interpretano il Csm come l’organo di autogoverno per affermare la loro separatezza. Se si deve esaltare la indipendenza del giudice bisogna distinguerlo dal pubblico ministero, essendo una parte nel processo. Ma la politica non è allarmata da questa profonda questione istituzionale e dà vita a un contrasto che serve alla magistratura per gridare al complotto e alimentare il giustizialismo non rendendosi conto che è essa stessa a delegittimarsi.

Per fare un esempio eclatante e valutare le vicende attuali dico che chiunque è minimamente avvertito di cose giudiziarie sa che “il concorso esterno alla mafia” non è disciplinato dal codice, quindi non è un reato, e da tempo si invoca una norma che prevede, esplicitamente una fattispecie precisa per configurare appunto il reato. Non avrei mai immaginato che si accendesse una polemica da parte di cultori del diritto e di magistrati. Nordio ha espresso l’esigenza di dover provvedere a questa lacuna per una più consistente lotta alla mafia: attribuirgli una volontà diversa significa non conoscere la sua storia e offenderlo a morte.

L’attuale giurisprudenza sul “concorso esterno” è evanescente. In una intervista a questo giornale il professor Mariello lo ha spiegato in maniera mirabile: “si aggirano i protocolli più rigorosi di legalità giurisprudenziale… e il dispositivo è di sfuggente identità”.

Infatti se le indagini su Calogero Mannino che era il campione assoluto e intelligente nel Parlamento contro la mafia, sono state sonoramente bocciate vuol dire che la mancata definizione del reato è stato deviante. Basterebbe leggere tra tutte le sentenze di assoluzione l’ultima della Cassazione per Mannino per rendersene conto e il suo contenuto sarebbe istruttivo per formulare una norma adeguata. D’altra parte la pretestuosità della trattativa tra Stato e mafia è ormai codificata da sentenze definitive.

Le indagini sul “concorso esterno” non rispondono a regole precise: si fanno le indagini sulle persone e non sui reati e questa distorsione doveva essere eliminata da tanto. Il professor Fiandaca da grande giurista ha dato sempre indicazioni in proposito e ha rivelato in una recente intervista che il pm Caselli era spaventato all’idea che si potesse scrivere una norma precisa.

La verità è che la indeterminatezza del reato dà grande discrezionalità al pm che non avrebbe altrimenti e il coro di dissensi è proprio la prova delle subordinazioni della politica alla “discrezionalità” assoluta della magistratura. Debbo dire che, una giustificazione “sofisticata” l’ha data l’ex magistrato Spataro, che è un fine giurista, il quale non si appella alla supplenza politica cui ho accennato, ma esalta e chiede il rispetto dovuto alla giurisprudenza.

Dire poi che esercitando il potere legislativo si offenderebbe Falcone e Borsellino è una eresia, perché è proprio Falcone che utilizzando giustamente l’indicazione giurisprudenziale auspicava (l’ha detto varie volte) una presa di posizione sistematica che doveva tra l’altro riguardare i reati associativi. La premier ha detto che questo argomento non ha una priorità, ma dimentica che “il diritto” è sempre una priorità, e d’altra parte ella non tiene conto che la magistratura non vuole rinunziare alla consolidata interpretazione creativa perché ritiene di essere un “potere” e non più un “ordine”. Questo è il problema della separazione dei poteri e dello stato di diritto e quindi è una priorità.