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di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 10 agosto 2023

Pericoloso precedente il metodo con cui il provvedimento del governo modifica i requisiti per il controllo delle comunicazioni. Un intervento legislativo giusto nel contenuto (la stabilizzazione di alcuni standard di intercettazione per una serie di reati a cui sinora si applicavano per via giurisprudenziale) può però diventare metodologicamente un precedente pericoloso se, come nella scelta l’altro giorno del Consiglio dei ministri, viene fatto non solo con uno strumento discutibile (il decreto legge), ma anche per una ragione sbagliata quale il dichiarato proposito del governo di neutralizzare i paventati effetti di una sentenza di Cassazione; in un momento sfasato, un anno dopo, alla faccia del requisito dell’”urgenza” che dovrebbe giustificare il delicato ricorso al decreto; e per di più con una norma transitoria ambigua, che per le intercettazioni già disposte nei procedimenti in corso sembra far valere le regole nuove stabilite per il futuro.

Il tema trentennale è quali siano i “reati di criminalità organizzata” non specificati nel 1991 dalla legge che, per questa categoria, ammette (in deroga al regime ordinario) intercettazioni anche solo se “necessarie” (anziché “indispensabili”); in presenza di indizi anche solo “sufficienti” anziché “gravi”; in partenza per 40 giorni anziché 15; e nel domicilio anche senza bisogno che vi si stia svolgendo un’attività criminosa: solo i reati associativi, oppure anche i reati monosoggettivi come l’omicidio o l’estorsione se però aggravati dall’impiego del metodo mafioso o dalla finalità di agevolare un’associazione di tipo mafioso? Su questa seconda opzione si assestano nel 2016 le Sezioni Unite della Cassazione con la “sentenza Scurato”. Ma nel marzo 2022 la sentenza 34895 di una sezione semplice, la prima, su un omicidio a Napoli la reinterpreta a modo suo e torna all’opzione solo dei reati associativi: normalmente simili contrasti nella giurisprudenza si autocorreggono e si autostabilizzano proprio nel susseguirsi di pronunce e, se necessario, attraverso un nuovo approdo alle Sezioni Unite. Ma stavolta il meccanismo non si mette in moto, o almeno non con la prontezza auspicata dal mondo dell’antimafia, preoccupato (come nella lettera scritta a fine 2022 dal procuratore nazionale Melillo alla Procura generale della Cassazione) per l’utilizzabilità nei processi in corso delle intercettazioni disposte in base ai criteri delle Sezioni Unite 2016.

Se nulla accade in Cassazione, a rispolverare il tema è invece il Consiglio dei ministri molti mesi dopo, il 17 luglio scorso, nel pieno delle polemiche sul ministro della Giustizia per la caldeggiata abolizione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa: in un comunicato Palazzo Chigi anticipa che “il governo, anche in considerazione delle richieste pervenute da alcuni tribunali, ritiene necessaria e urgente l’adozione di una norma d’interpretazione autentica che eviti l’applicabilità in senso generalizzato dell’interpretazione di recente avanzata dalla Cassazione”. Nel decreto legge il governo sceglie poi di scrivere invece una norma nuova, che integra la legge del 1991 e prevede che le modalità più semplificate di intercettazione siano possibili anche per i delitti aggravati dal metodo mafioso o dalla finalità di agevolazione mafiosa o di terrorismo, per il sequestro di persona a scopo di estorsione, e per il traffico organizzato di rifiuti.

È norma processuale, quindi le nuove intercettazioni andrebbero con questa nuova regola, le vecchie resterebbero regolate dal precedente quadro interpretato dalla giurisprudenza. Ma il decreto legge finisce con una norma transitoria: “La disposizione si applica anche nei procedimenti in corso”. E “procedimenti” vuol dire non solo indagini in corso con intercettazioni ancora da disporre, ma anche processi in Tribunale, Appello e Cassazione con intercettazioni già disposte: può essere (ora) un decreto legge del governo a ripararle sotto il nuovo ombrello (per allora)? È un dubbio che forse potrebbero porsi anche quanti (magistrati compresi) oggi sembrano paghi del positivo risultato conseguito per l’efficacia delle indagini. Perché oggi lo spartito governativo può essere più apprezzato delle (magari stonate) note di una sentenza di Cassazione. Ma se lo si assume come precedente, c’è da assumere anche il rischio che in futuro altri gettoni, da altri inseriti nel cangiante juke box delle convenienze politiche, su questa o quella sentenza possano far suonare una musica meno gradita.