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di Emma Ruzzon*

La Stampa, 15 febbraio 2023

Stanchi di piangere i suicidi dei nostri coetanei. A noi studenti viene richiesto di eccellere nella precarietà e con aspettative asfissianti. Non si tiene conto dei tempi di ognuno di noi né degli ostacoli economici e sociali. “A 20 anni è il più giovane laureato d’Italia”. “Studente trovato morto, da mesi non dava esami”. “Gemelli laureati insieme: “Il segreto? Una sana competizione”. “Si suicida all’università: aveva mentito alla famiglia, gli esami erano inventati”. “A 23 anni è medico: “Per me il sonno è tempo perso”. “Studentessa di 19 anni si suicida nella sua Università: “La mia vita è un fallimento”.

Cara comunità studentesca, Magnifica Rettrice, Ministro Bernini, autorità, cara comunità dell’Università di Padova: credo siano evidenti a tutti le profonde contraddizioni della narrazione mediatica intorno al percorso universitario. Ci viene restituito il quadro di una realtà che fa male. Celebrate eccellenze straordinarie facendoci credere che debbano essere ordinarie, facendoci credere che siano normali.

Sentiamo il peso di aspettative asfissianti che non tengono in considerazione il bisogno umano di procedere con i propri tempi, nei propri modi. Siamo stanchi di piangere i nostri coetanei e vogliamo che tutte le forze politiche presenti si mettano a disposizione per capire, insieme a noi, come attivarsi per rispondere a questa emergenza, ma serve il coraggio di mettere in discussione l’intero sistema merito-centrico e competitivo.

Ci viene insegnato che fermarsi significa deludere delle aspettative, sociali e molto spesso familiari. Fermarsi vuol dire rimanere indietro. Ma quand’è che studiare è diventato una gara? Tutto quello che sappiamo è che una vita bella, una vita dignitosa, non ci spetta di diritto, ma è qualcosa che ci dobbiamo meritare [...]. Il mancato raggiungimento di un risultato è da attribuirsi esclusivamente alla colpa del singolo di non essersi “impegnato abbastanza”. Ricordiamoci però che molti degli ostacoli che incontriamo nel nostro percorso accademico sono strutturali e sono, per esempio, non potersi permettere una casa da fuori sede, non poter frequentare le lezioni, non avere una borsa di studio, ed è codardo che si deleghi al singolo studente la responsabilità di trovare un modo per arrivare alla fine del percorso indenne, superando degli ostacoli che è compito delle istituzioni rimuovere.

Quest’anno a Padova 2.426 studentesse e studenti avevano diritto a ricevere una Borsa di Studio che non è mai stata erogata. Come possano avere fiducia nel loro Ateneo, nella loro Regione, nel loro Stato, se vedono non rispettato un loro diritto costituzionale, quello di poter studiare? Sono domande che esigono risposta [...]. Queste politiche di disimpegno e trascuratezza colpiscono sempre e solo chi è già condizioni precarie, spesso quegli stessi studenti che non si sono potuti adeguare a un mercato immobiliare che specula sulle carenze del pubblico. Quella abitativa, così come quella economica, sono emergenze, e come tali vanno affrontate [...]. Non godere di un reale diritto allo studio pesa sul percorso universitario, così come insiste sulle nostre spalle la costante competizione corrosiva a cui siamo sottoposti e un ragionamento sul benessere psicologico ancora in fase embrionale, che non fornisce nemmeno a tutte le Università uno sportello di assistenza e ascolto, e che dove è presente lo vede sottofinanziato. Vogliamo lo psicologo di base.

E anche se sentiamo solo il contrario, ricordiamoci che non è una sessione o la nostra media a definire chi siamo, ricordiamoci che è legittimo chiedere aiuto e pretendere che ci siano delle strutture adeguate a darcelo. Stare male non deve essere normale.

Se però si aspira a proseguire il proprio percorso accademico, è d’obbligo prendere atto di come il nostro Paese considera l’Istruzione e il mondo della Ricerca. Il 55% tra dottorandi e dottorande non riesce a risparmiare nemmeno 100 euro al mese. Una volta conseguito il titolo, ciò che li attende in Italia è l’incertezza. Saltare da un assegno all’altro, senza possibilità di accedere ai basilari diritti dei lavoratori, come maternità e tredicesima [...]. Pochi mesi fa la ministra Bernini riportava alle Camere che sarebbe un contratto lavorativo a limitare la libertà di un ricercatore. Ebbene no: è l’assenza di tutele che limita la libertà, impedendogli di immaginare un progetto di vita stabile nelle attuali condizioni.

In questo contesto di precarietà ci viene richiesto di eccellere, con i mezzi a disposizione, qualunque essi siano, dentro e fuori l’Università. Sempre di più, sempre meglio, sempre più veloci, senza arrestarsi mai, nemmeno davanti alle difficoltà. Chi vuole può, giusto? Dobbiamo chiederci se è vero che tutti abbiamo la possibilità di arrivare ovunque e accettare che la risposta, per quanto possa fare paura, è “no” [...]. Ci troviamo davanti un Governo che sceglie deliberatamente di ignorare le grida di allarme dei suoi giovani. [...]. La civiltà e la forza di uno Stato si misurano su come questo tratta chi è messo ai margini dalla società stessa: come osano mentire raccontandoci che non toccheranno il diritto all’aborto? Non avete paura di cosa ne sarà dopo i tre disegni di legge che lo mettono in discussione? Non vi indigna il silenzio delle istituzioni davanti agli 84 suicidi dei detenuti in carcere nel 2022? Oppure che, in questo momento, alla Camera si stia proponendo l’aberrante tentativo di legittimare l’omissione di soccorso? L’accanimento verso gli ultimi e il calpestamento dei diritti civili e sociali sono atteggiamenti che appartengono a uno dei periodi più bui della storia del nostro Paese.

Ma dalle sue macerie è nata la nostra Costituzione, costruita sulle fondamenta della democrazia, dell’uguaglianza, della libertà e dell’antifascismo. Principi che oggi dobbiamo al coraggio ed al sacrificio delle giovani generazioni di allora, anche studenti come noi, che si schierarono con coraggio contro l’oppressione del regime [...]. Il presente non è facile e altrettanto avere fiducia nel futuro. Forse la sfida più grande consiste nel non adeguarci al poco che ci viene concesso, pretendendo sempre di più. Possiamo esserne in grado solo mettendo da parte gli individualismi, in un’ottica di solidarietà, “per la fede che ci illumina e per lo sdegno che ci accende”.

*Presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Padova