sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Valeria D’Autilia

La Stampa, 14 agosto 2023

“Non si può risolvere tutto dicendo avevo le camerate, anziché le porte ci metto due cancelli. Oppure: visto che sono stanze grandi le divido con il cartongesso. La situazione è molto più complessa”. Il piano Nordio e l’ipotesi di utilizzare le caserme dismesse per svuotare le carceri non convince chi conosce bene gli istituti di pena. Attualmente, rispetto alla capienza sul territorio italiano sono detenute 10mila persone in più, ma per molti la soluzione non può essere questa. La Cgil è netta. Se per il Governo recuperare strutture inutilizzate del demanio per trasferirvi detenuti responsabili di reati minori è la strada più sostenibile, anche in termini economici, non lo è per molti altri. Prendiamo il caso Puglia. Taranto è uno dei penitenziari più affollati d’Italia con oltre 800 detenuti rispetto ai 500 previsti, mentre a Bari si conta il 30% in più di presenze rispetto alla capienza e il 30% in meno rispetto al numero di poliziotti. Il piano prevede anche un potenziamento dell’organico nella polizia penitenziaria. Ma ad essere in pochi sono anche educatori e assistenti sociali il cui sostegno psicologico prosegue anche all’esterno per chi è ai domiciliari. Per tutti una mole di lavoro ormai insostenibile, un’emergenza pressoché quotidiana.

“Quanto ti costa rimettere in piedi una struttura e riconvertirla totalmente e quanto costerebbe invece provare finalmente a realizzare un carcere moderno, funzionale sia a chi dovrebbe ricevere un processo di rieducazione che a chi, lì dentro, ci deve lavorare?”. Una serie di domande che arriva dal segretario della funzione pubblica di Bari, Dario Capozzi. Anche il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, con il segretario nazionale Federico Pelagatti è netto. “Questa storia va avanti da anni. Ogni Governo la tira fuori per poi abbandonarla. Ma è comunque un falso problema. Per portare una caserma agli standard - anche di sicurezza - di un carcere faremmo prima ad abbatterla e ricostruirla. Pensiamo piuttosto ad affrontare la carenza di personale”.

Restando nel Barese, molte strutture non risultano completamente dismesse, ma più che altro sovradimensionate perché costruite in un periodo storico in cui la leva militare era obbligatoria. Oggi i numeri sono molto diversi e, molte aree, sono sfruttate al minimo delle loro potenzialità. Ma resta il fatto che sono state pensate con altre finalità. È il caso delle cosiddette “ex Casermette”, oggi ruderi militari che dovrebbero trasformarsi nel Parco della Giustizia, accorpando in un unico luogo le sedi di procure e tribunali. E il progetto, di ampio respiro, prevede un completo stravolgimento dell’intero perimetro.

Andando per esclusione, si potrebbe pensare alla struttura dell’ospedale militare Bonomo in via De Gasperi con i suoi 50mila metri quadri e alla caserma dell’aviazione di corso Sonnino. Entrambi abbandonati da circa un decennio. Ma qui, come in altre regioni, si porrebbe un altro problema: i locali sono in pieno centro cittadino. “Non si possono mettere i carcerati in una zona abitata, pensando che possano fare l’ora d’aria con la gente che si affaccia ai balconi. Bisogna tutelare la loro privacy e allo stesso tempo rispettare anche la popolazione, senza costringerla a scene che è bene rimangano dentro il carcere”. Capozzi, più volte, ha effettuato sopralluoghi nel carcere di Bari. “Non è che funziona come un hotel. Pensiamo ai bagni esterni: per un fatto evidente di sicurezza non possono essere chiusi, non possono avere porte. Quindi è impensabile immaginare palazzi intorno”. Da qui la richiesta, al contrario, di un vero piano di edilizia carceraria, provando ad intercettare magari terreni del demanio o del comune fuori dall’area cittadina.

Le criticità, quindi, non sarebbero solo strutturali, ma anche di progettazione. E questo vale per l’Italia intera. Strutture obsolete, pensate nel Dopoguerra, molte delle quali andrebbero persino bonificate dall’amianto. Per il sindacato i limiti sono più dei vantaggi. La zona riservata agli uffici deve essere adiacente e non interna, poi bisognerebbe blindare tutta la parte che porta alla zona carceraria vera e propria. E via dicendo. “Gli istituti di pena vanno costruiti in maniera precisa, non si possono riadattare” è quello che ripetono molti operatori. Sempre prendendo il caso Bari, è anche hub sanitario. Quindi con al suo interno un vero e proprio ospedale. “Come facciamo - si chiede Capozzi - a metterlo in una caserma? La situazione è molto più complessa che dire recuperiamo una vecchia struttura. In tutto questo consideriamo che questi progetti non avrebbero certo un costo zero. E alla fine per avere cosa? Un semplice riadattamento”.