sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 22 agosto 2023

La proposta del sottosegretario alla giustizia Ostellari si scontra con la sentenza numero 49 del 1992 della Consulta. Trattenere tale onere dovrebbe ricadere su tutta la collettività e non solo sui detenuti lavoratori. Per questo si configura una violazione dell’art. 3 Costituzione.

Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Ostellari, ha annunciato l’istituzione di un fondo a favore delle vittime dei reati, finanziato tramite una parte della retribuzione dei detenuti, nota tecnicamente come “mercede”. Questa iniziativa ha suscitato qualche timida polemica, specialmente a causa dei miseri stipendi che la maggior parte dei reclusi percepisce e che ancora vengono chiamati mercede. Come evidenziato da Maria Grazia Caligaris dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, si tratta principalmente di retribuzioni modeste derivanti da attività quali “scopino”, “portavitto”, “spesino” o la rammendatura di federe e lenzuola. Ma c’è anche dell’altro, che questa volta ha scovato la redazione di Ristretti Orizzonti: già 30 anni fa, la Corte Costituzionale, con la sentenza numero 49 del 1992, ha dichiarato incostituzionale tale trattenuta.

Per avere una comprensione più approfondita, è necessario esaminare il percorso legislativo riguardante la retribuzione dei lavoratori detenuti.

L’intento iniziale del legislatore nel 1975 era di regolare due diversi livelli di compensi all’interno della retribuzione: la remunerazione, che rappresentava la parte effettivamente ricevuta dal detenuto (ridotta opportunamente di una o più quote), e la mercede, che rappresentava l’intero compenso dovuto per la prestazione (calcolato per ciascuna giornata lavorativa in base alla categoria di appartenenza).

Secondo questa previsione normativa, la differenza tra remunerazione e mercede non aveva significato nel caso dei lavoratori detenuti; tuttavia, nel caso di imputati e condannati, veniva applicato un meccanismo di decurtazione che riduceva la remunerazione a sette decimi della mercede. I tre decimi differenziali erano destinati alla Cassa per il soccorso e l’assistenza alle vittime del reato, mentre la parte relativa alla retribuzione degli imputati veniva accantonata e versata all’avente diritto in caso di proscioglimento o assoluzione, o alla stessa Cassa in caso di condanna.

La riforma introdotta dalla legge n. 663 del 1986 ha poi abrogato la disposizione relativa ai tre decimi destinati alla Cassa, comportando la scomparsa della distinzione tra mercede e remunerazione (attualmente, entrambi i termini rappresentano lo stesso valore economico della prestazione lavorativa). Tuttavia, al posto della Cassa, i tre decimi venivano comunque trattenuti a favore di Enti o Regioni.

Negli anni successivi all’entrata in vigore della legge Gozzini, che ha riformato tale disciplina, la Corte Costituzionale ha emesso due sentenze di particolare rilevanza in materia. Richiesti di decidere sulla costituzionalità della trattenuta dei tre decimi (art. 23 O.P.), e sulla compatibilità della normativa che consente una retribuzione inferiore ai livelli salariali previsti dai contratti collettivi di lavoro (art. 22 O.P.), i giudici della Consulta hanno raggiunto una soluzione di compromesso nella sentenza n. 1087/1988. In sintesi, non hanno rilevato violazioni costituzionali nell’articolo 22 O.P., ma hanno riconosciuto l’applicabilità delle garanzie costituzionali anche al lavoro penitenziario, pur ritenendo ragionevole una differenza di trattamento economico tra lavoro interno ed esterno.

In pratica, la Corte ha stabilito che l’art. 22 O.P. (che prevedeva una decurtazione fino a due terzi) si applicava solo ai lavori domestici dipendenti dall’amministrazione penitenziaria, riconnettendo la norma agli standard di proporzionalità e sufficienza dell’articolo 36 della Costituzione. Questo significa che tale disciplina non si applica ai soggetti che svolgono lavoro extramurario, ai quali verrà corrisposta una retribuzione conforme ai contratti collettivi di lavoro.

Ma passiamo alla sentenza decisiva. La pronuncia n. 49 del 1992 ha risolto definitivamente la questione sulla legittimità costituzionale dell’art. 23 O.P. Con la scomparsa del vincolo di solidarietà tra autori e vittime del reato e la soppressione della Cassa per il soccorso e l’assistenza alle vittime, è emersa un’ingiustificata disparità di trattamento tra detenuti e cittadini.

La Corte ha stabilito che, in assenza di destinazione specifica delle trattenute a favore delle vittime, queste hanno scopi di beneficenza pubblica. Poiché tale onere dovrebbe ricadere su tutta la collettività e non solo sui detenuti lavoratori, si configura una violazione dell’art. 3 Costituzione, con un’ingiustificata discriminazione tra detenuti e altri cittadini.

Riportiamo direttamente i passaggi dei giudici costituzionali, i quali hanno ritenuto che “essendosi sostituiti alla Cassa enti portatori di interessi plurimi, sono venuti meno la specifica destinazione delle trattenute di cui trattasi al soddisfacimento dei bisogni delle vittime delle azioni delittuose e il vincolo di solidarietà tra detenuti e vittime dei delitti, sicché le trattenute sono dirette a soddisfare finalità di beneficenza pubblica. E siccome il relativo onere deve gravare sull’intera collettività e non solo sui detenuti che lavorano, sussiste violazione del richiamato art. 3 Cost., ponendosi un’irrazionale ingiustificata discriminazione tra i detti detenuti e gli altri cittadini”.

Di conseguenza, dopo questa pronuncia, è stato riconosciuto ai detenuti lavoratori il diritto di ottenere i tre decimi della mercede precedentemente trattenuti. Questi importi, un tempo destinati alla Cassa per il soccorso e l’assistenza alle vittime, e in seguito alle Regioni ed enti locali dopo l’abrogazione, vanno ora ai detenuti lavoratori.

In sintesi, il Consiglio dei ministri non può approvare la proposta del Sottosegretario Ostellari. Se lo facesse, il Presidente della Repubblica avrebbe difficoltà a promulgare una legge incostituzionale. Ma sicuramente, di questo, ne è già a conoscenza il ministro della Giustizia Nordio. O almeno è auspicabile che lo sia.