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di Paolo Pandolfini

Il Riformista, 8 novembre 2023

Giorgia Meloni vuole il via libera dalle Camere alla riforma sul Sindaco d’Italia entro il prossimo mese di giugno, prima quindi delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo dove FdI ha intenzione di fare cappotto sulle spalle degli alleati. La riforma della giustizia pensata dal Guardasigilli Carlo Nordio, e quindi la separazione delle carriere in magistratura, rischia - purtroppo - di rimanere nel libro dei sogni. A stopparne il cammino, infatti, c’è la riforma sul premierato imposta dal Giorgia Meloni e che costringerà inevitabilmente il ministro della giustizia a rivedere i propri programmi. Per mesi Nordio ha ostentato sicurezza, affermando che la separazione delle carriere fra pm e giudici “non è negoziabile”.

La separazione, ha sempre ricordato il ministro, “è nel programma di governo, è stata concordata da tutte le forze di coalizione, e va attuata per rispetto dei cittadini che ci hanno votato”. Questa riforma, poi, è legata al processo accusatorio. “Se noi attuiamo il processo accusatorio, dobbiamo attuare anche la separazione delle carriere altrimenti abbiamo una Ferrari col motore di una Cinquecento”, aveva sottolineato Nordio, evidenziando però che la separazione “richiede una revisione costituzionale” e quindi “non sarà in tempi brevi”.

I tempi già non brevi ipotizzati da Nordio rischiano adesso di dilatarsi oltre misura. Meloni, infatti, vuole il via libera dalle Camere alla riforma sul premierato entro il prossimo mese di giugno, prima quindi delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e dove FdI ha intenzione di fare cappotto sulle spalle degli alleati. La premier sa bene che su questa riforma si gioca gran parte della sua credibilità e, per tale motivo, è pronta allo scontro con le opposizioni dando per scontato il ricorso al referendum nel 2025. Almeno di novità dell’ultimo momento, la riforma del premierato dovrebbe cominciare il suo lungo percorso dalla Camera, anche perché il Senato è impegnato nell’esame dell’autonomia differenziata che secondo quanto chiesto dalla Lega e ribadito da Matteo Salvini “deve andare di pari passo con il premierato”.

Un’impostazione che la premier ha già detto di condividere. Inoltre, a Palazzo Madama c’è al momento un maggiore intasamento di decreti da approvare e anche, per restare in tema di giustizia, un ddl super “incandescente”: quello sull’abolizione dell’abuso d’ufficio. In questo scenario quanto mai complicato è difficile allora trovare spazio per la riforma di Nordio. Sulla separazione delle carriere, va precisato, si discute senza soluzione di continuità da più di trenta anni, da quando è entrato in vigore l’attuale codice di procedura penale di tipo accusatorio.

Oltre ad innumerevoli iniziative parlamentari, sul tema si sono cimentati i Radicali con i loro referendum, l’ultimo “sponsorizzato” dalla Lega, e le Camere penali che sul punto raccolsero oltre 700mila firme. Su quale debba essere l’inquadramento del pubblico ministero nell’ordinamento giudiziario italiano sono intervenuti negli anni i migliori giuristi del Paese. Le riforme approvate hanno cercato di scoraggiare e limitare quanto più possibile i passaggi fra funzioni. La recente riforma Cartabia, approvata dopo una complicata mediazione tra posizioni molto distanti all’interno dei partiti che appoggiavano il governo Draghi, ha ad esempio ridotto ad uno solo il passaggio fra funzioni, da effettuarsi entro i dieci anni dalla prima assegnazione.

Trascorso tale periodo, è ancora consentito per una volta il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, purché la toga non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali. Il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro avverrà poi in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, purché il magistrato non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste. Nel 2022 le richieste di passaggio di funzione erano state appena venti su un organico di oltre novemila magistrati.

Anche quest’ultima riforma, comunque, non ha impedito di superare la comune appartenenza all’Ordine giudiziario che, soprattutto nei piccoli uffici giudiziari, determina la creazione di rapporti “amicali” fra colleghi, spesso anche vincitori dello stesso concorso, che non può non riverberarsi, anche solo sotto il profilo dell’apparenza, sulla terzietà ed imparzialità che deve avere il giudice. Pur essendo argomenti quanto mai condivisibili, Meloni, concentrata sulla riforma del premierato, non ha alcuna intenzione di avventurarsi su un tema scivoloso come la separazione delle carriere, con conseguente campagna mediatica durissima “sponsorizzata” dall’Associazione nazionale magistrati che farebbe passere l’esecutivo di destra per quello che vuole bloccare il lavoro dei pm e favorire la criminalità.

Un danno all’immagine della premier che viene da un partito, il Movimento sociale, tutto “legge e ordine”. E dopo quanto accaduto in queste settimane, nessuno a palazzo Chigi sente il bisogno di altri “inciampi”. Resta da capire, a parte Nordio, come reagiranno gli alleati di governo, ad iniziare da Forza Italia che si è molto impegnata sulla giustizia in questi mesi.