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di Peppe Fiore

Corriere del Mezzogiorno, 22 marzo 2022

La droga spacciata nelle carceri? Può accadere, come avvenuto nella realtà al carcere di Secondigliano. E come racconta, in una storia invece tutta di fantasia, “Il Re”, la nuova serie “prison drama” appena iniziata su Sky la scorsa settimana. E se al centro della fiction c’è il ruolo del controverso direttore Bruno Testori, interpretato da Luca Zingaretti, nella cronaca di ieri il direttore non c’entra assolutamente nulla. I magistrati accusano alcuni rappresentanti del corpo delle guardie carcerarie.

Anche sul piccolo schermo entra così il fenomeno della vendita di stupefacenti fra detenuti. E fra le protagoniste degli otto episodi diretti da Giuseppe Gagliardi c’è Anna Bonaiuto, l’attrice friulano-partenopea famosa per film come “Morte di un matematico napoletano”, “L’amore molesto” o “Napoli velata”, qui nel ruolo del Pubblico Ministero Laura Lombardo, impegnata strenuamente a far luce sui tanti crimini presenti nel carcere San Michele. E se la trama della fiction è costruita sulle invenzioni degli sceneggiatori, i temi trattati risultano quanto mai attuali.

“Non conosco i dettagli del caso di Secondigliano e quindi non posso entrare nel merito - spiega Anna Bonaiuto - ma questo ennesimo evento è la dimostrazione che la nostra è una finzione che coglie nel segno ispirandosi alla reale vita dei luoghi di detenzione. Pensate, avevamo girato scene di violenza sui detenuti ben prima che le immagini di Santa Maria Capua Vetere circolassero raccontandoci la verità, che il più delle volte, in tante altre carceri rimane assolutamente nascosta”.

Ora tocca invece alla droga e al commercio che se ne fa a Secondigliano. “Sì, naturalmente la fiction ha una sua trama fantasiosa e dei personaggi inventati di sana pianta, ma ci meravigliamo forse del fatto che i luoghi di detenzione siano permeabili? C’è stato talvolta un passaggio di cose e informazioni fra chi è dentro e chi è fuori, anche nei regimi di maggiore restrizione come il 41 bis. E considerando che la sceneggiatura de “Il re” è stata scritta con grande attenzione da Stefano Bises, Peppe Fiore, Bernardo Pellegrini e Davide Serino, ecco che quanto si vede in tv finisce spesso col corrispondere evidentemente con la situazione effettiva delle carceri”.

E per il suo ruolo c’è un magistrato in particolare a cui si è ispirata? “No, conosco tanti piemme integerrimi che fanno della propria attività il centro della loro vita, a ogni costo. Diciamo quindi che ci sono un po’ tutti loro in Laura Lombardo, una donna intelligente, cinica, scaltra, principale antagonista di Bruno, sempre aiutata dal suo secondo, l’Ispettore Pellegrini”.

Ma la droga come esce fuori? “La serie è appena iniziata e non voglio spoilerare niente - conclude Anna Bonaiuto. Guardatela e scoprirete tutto, magari mettendo a confronto la cronaca con il nostro racconto”.

Un team che ha riunito, oltre al sottoscritto che l’ha coordinato, Bernardo Pellegrini e Davide Serino, in una prima fase anche Massimo Reale, con la supervisione del guru della serialità nostrana Stefano Bises. Parlare di carcere in Italia significa confrontarsi con una ferita perennemente aperta, che tale è rimasta in tutte le fasi topiche della nostra storia recente. Dal terrorismo, alla guerra stato-mafia, all’emergenza pandemica: ogni movimento significativo della storia del paese ha avuto il suo precipitato carcerario. Sempre in chiave emergenziale.

La prigione è un territorio ai margini del diritto, spesso confinato in una zona d’ombra dei poteri dello stato, difficilmente penetrabile, come dimostrano ogni anno con puntualità i rapporti Antigone. E se in quest’epoca storica di disintermediazione lo stato di salute di una democrazia si misura prima di tutto con lo stato di salute dei diritti umani, il carcere, dal suo cono d’ombra, ci racconta di noi molto più di quello che siamo disposti a vedere.

Per queste ragioni quando, alla fine del 2017, Luca Zingaretti e Lorenzo Mieli ci hanno affidato la trasformazione di un’idea di Luca - un prison drama con un protagonista scisso, fatto più di ombre che di luce - in una serie articolata, la responsabilità era duplice: da una parte rendere appetibile per il pubblico televisivo un mondo tendenzialmente cupo e claustrofobico, dall’altra trattare con rispetto, cercando di storicizzare, un’arena così sensibile.

Sapevamo di fare una serie tv, non un documentario, non un film di denuncia. In quel senso sapevamo di dover attingere a una serie di dispositivi di genere che, nelle lunghe fasi di scrittura, riscrittura e di messa a punto del soggetto, si sono andate precisando sempre di più verso il thriller e la spy story. Sapevamo pure di avere a disposizione una quantità di materiale narrativo reale, dirompente e rappresentativo del paese: vicende prese dalla cronaca, dalle testimonianze, dai testi di approfondimento - tutte potenziali portatori di conflitto e quindi di storia. Nella storia recente delle carceri non c’è solo Santa Maria Capua Vetere, non c’è solo la famigerata “cella zero” di Poggioreale (a cui pure ci siamo ispirati), non c’è solo lo spaccio tollerato - che ovviamente non nasce adesso Secondigliano. Ci sono le intersezioni con l’intelligence: il carcere come strumento di controllo delle faglie di conflitto carsiche della società. E c’è in vitro il conflitto che più di tutti ci identifica nel globalismo, quello dello scontro di civiltà.

Proprio su questo aspetto abbiamo deciso di concentrarci per storicizzare il nostro S. Michele. Ci siamo ispirati alle Sezioni di Alta Sicurezza 2 (AS2), dove convergono i detenuti reclusi per reati di matrice islamica. Perché ci sembrava efficace per raccontare, attraverso la metafora della prigione, la paura che più di tutte anima noi occidentali: quella dell’altro, dell’estraneo, dello straniero. E perché, sul piano del racconto, ci offriva la possibilità di una battaglia millenaristica. Quella tra un uomo, Bruno Testori, che ha istituito tutta la sua vita sulla sua personale idea di giustizia. E che si trova per la prima volta a confronto con l’unica legge che può mettere in discussione la sua: la legge di Dio.

Il Re è una riflessione sul potere e sull’ossessione. Sulla paura, che delle ossessioni si nutre. Da quando abbiamo iniziato quest’avventura lunghissima, cinque anni fa, il mondo è cambiato: abbiamo attraversato una pandemia che non si è ancora esaurita, e una guerra europea in corso. Crediamo che i temi e i conflitti di fondo che reggono questo racconto siano più che mai attuali. Adesso, la parola al pubblico.