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di Paolo Delgado

Il Dubbio, 17 dicembre 2023

Rivoluzionario di professione, docente, teorico marxista, Toni Negri era uno di quegli intellettuali militanti che si alzavano ogni mattina all’alba per intervenire ai cancelli delle fabbriche. Fino all’arresto nel 1979 che lo costrinse in prigione per anni. Maestro lo è stato di certo. Quello “cattivo”, il peggiore di tutti per alcuni, incluso il ministro della Cultura Sangiuliano che così è tornato a definirlo. Buono, anzi impareggiabile per la parte di più lucida e colta della sinistra radicale in Europa come negli Usa. Ma la statura di Antonio Negri, Toni per tutti e da sempre, scomparso a 90 anni senza aver mai perso un colpo quanto a energia e lucidità, quella non la mette in discussione nessuno.

Negri è stato un grande intellettuale, il più giovane professore ordinario della storia italiana quando nel ‘67 gli fu assegnata la cattedra di Filosofia politica a Scienze politiche, università di Padova. Autore di libri che sarebbero essenziali e di altissimo livello anche a prescindere dalla sua militanza politica, come “La forma-Stato”, “Lenta Ginestra” su Leopardi, “L’anomalia selvaggia” su Spinoza, “Marx oltre Marx”, forse il testo più avventuroso nel campo di un marxismo eretico e mai scolastico.

Ma Negri non ha mai pensato a se stesso come un accademico. Prima cattolico, poi socialista, mai iscritto al Pci, aveva la vocazione del rivoluzionario di professione, cambiare il mondo, sovvertire “lo stato presente delle cose” era la sua missione e la sua ossessione. Nell’Italia repubblicana è quasi impossibile rintracciare altre figure come la sua, militante e studioso, intellettuale con le mani affondate nella realtà della condizione operaia. Era uno di quegli intellettuali militanti che si alzavano ogni mattina all’alba per intervenire ai cancelli delle fabbriche, il Petrolchimico di Porto Marghera, e da quelle esperienze, dalla condizione operaia reale, dai conflitti che avrebbero partorito il decennio delle grandi lotte operaie, dal 1969 al 1980, imparava quanto dal pensiero dei suoi maestri.

Era tra le firme ruggenti delle riviste “operaiste” degli anni ‘60: i Quaderni Rossi di Raniero Panzieri, Classe Operaia diretta da Mario Tronti, Contropiano, fondata con Cacciari e Asor Rosa. Riviste teoriche importanti, le prime e le più acute nello studio della nuova composizione della classe operaia, alle quali Negri affiancava l’intervento diretto, il tentativo di organizzare le lotte di quella stessa operaia con un foglio tutto diverso, il Potere operaio veneto-emiliano, una delle principali esperienze dalle quali sarebbero nati il ‘68 e il ‘69 operaio.

Negri è stato uno dei principali dirigenti di una delle principali organizzazioni della sinistra extraparlamentare, Potere operaio, e poi dell’Autonomia operaia e risalgono a quegli anni alcune delle sue intuizioni più brillanti, di nuovo sulle trasformazioni del capitalismo, del modello produttivo, dunque della stessa composizione della classe operaia: le sue analisi sull’ascesa di una nuova figura, l’operaio sociale, non più vincolata al sistema basato sulla centralità della fabbrica anticipano tutti gli studi e gli sviluppi successivi sul postfordismo e sulla trasformazione radicale dei modi di produzione. Materia di oggi, non di cinquant’anni fa.

Quegli studi e quell’attività militante instancabile furono interrotti dall’arresto, il 7 aprile 1979, con una lista di accuse chilometrica. Era il capo sia dell’Autonomia che delle Brigate rosse, il grande puparo di tutta la sovversione italiana, il cattivissimo maestro, appunto. Erano accuse infondate ma costrinsero Negri in prigione per anni. Uscito nel 1983 perché eletto dai radicali decise di fuggire in Francia per sottrarsi al nuovo arresto dopo un’autorizzazione a procedere votata a spron battuto dalla Camera, con il voto contrario del Pci, che pure aveva sostenuto e in realtà collaborato a costruire il “teorema Calogero” su cui si basava il processo 7 aprile e grazie all’astensione dei radicali, che miravano a farne un simbolo anche a costo di rinchiuderlo di nuovo in galera.

In Francia Negri ha continuato a studiare concentrandosi sulla globalizzazione, a produrre riviste, Futur Antérieur, e libri di grandissimo successo anche negli Usa. Poteva passare per un divo della rivoluzione Negri, ma sarebbe un’immagine bugiarda e ingiusta. Per tutti i suoi novanta anni, fino all’ultimo giorno, è stato prima di tutto un rivoluzionario che con lo studio e con la pratica mirava solo a cambiare il mondo e a rovesciare il sistema.

Intellettuale, docente, militante, teorico marxista innovativo sino alle estreme conseguenze, esule, autore di best sellers, come il fortunatissimo Impero, scritto a quattro mani con Mickey Hardt, Negri ha vissuto in nove decenni molte vite ma senza mai tradire quella che riteneva essere la sua missione: quella di un intellettuale e militante comunista ma senza nostalgie per il passato. Un cartografo e un maestro del futuro, non del passato.