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di Paola Rossi

Il Sole 24 Ore, 6 agosto 2023

L’intrusività del mezzo che arreca turbamento o molestia al destinatario è dirimente e rende superato il riferimento al telefono. È l’invasività nella sfera privata del destinatario delle plurime comunicazioni, effettuate a fini di disturbo o molestia, a far scattare il reato previsto dall’articolo 660 del Codice penale. E non rileva che esse non siano realizzate con lo strumento del telefono come esplicitamente indica la norma.

La Corte di cassazione - con la sentenza n. 34171/2023 - ha precisato che il reato può ben essere commesso anche con l’inoltro di messaggi di posta elettronica. E, precisano i giudici di legittimità, tale conclusione è frutto di una doverosa interpretazione estensiva della norma e non di analogia, che nel diritto penale è vietata all’interprete chiamato ad applicare una data fattispecie di reato.

Infatti, la norma incriminatrice punisce chiunque, “in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono”, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo. L’espressa indicazione del mezzo telefono - al fine di assicurare concreta tutela alla vittima di molestia o disturbo - va allargata secondo i giudici a tutti mezzi di comunicazione attraverso i quali venga attinto il bene della tranquillità privata, che è componente essa stessa dell’ordine pubblico. Infatti, qualsiasi turbamento o fastidio arrecato con l’uso intrusivo di un mezzo di comunicazione nella sfera privata della vittima è presupposto della consumazione del reato di molestia o disturbo alla persona. Non ricomprendere la posta elettronica - tra l’altro ormai sempre accessibile dal telefono cellulare - equivarrebbe a lasciare prive di tutela situazioni di molestia o disturbo arrecati con un mezzo diverso dal telefono.

La Cassazione ripercorre i dovuti ampliamenti - realizzati dalla giurisprudenza - della fattispecie di reato al fine di poter tener conto dell’evoluzione dei mezzi di comunicazione e del conseguente necessario superamento del dato letterale contenuto nella disposizione penale riferito al telefono.

Già si erano registrati orientamenti che tenevano conto anche della messaggistica che viaggia sul telefono cellulare e, in particolare, puntando l’attenzione sulla funzione che avvisa della ricezione il destinatario tramite l’emissione di un suono. Ma tale allargamento rientrava comunque nella nozione di “sincronia” della comunicazione - quale quella rappresentata da una “classica” telefonata - che mette in contatto immediato il soggetto attivo del reato e il soggetto passivo che subisce il contatto indesiderato agito per biasimevoli motivi.

L’attuale decisione della Cassazione dà rilievo, invece, a un recentissimo precedente che ha ravvisato nell’“intrusività” delle comunicazioni ricevute la lesione del bene giuridico protetto dalla norma penale. Superando quindi ampiamente la necessità della sincronia tra azione lesiva e il turbamento o il fastidio arrecato.

La sola necessità di accedere a un proprio strumento di comunicazione e di appurare la presenza di contatti da parte del molestatore o disturbatore è alla base del danno arrecato alla privata tranquillità di una persona. Nel caso concreto risolto dalla Cassazione viene data rilevanza anche alla circostanza che la casella di posta elettronica fosse quella istituzionale cioè di lavoro della vittima, da cui consegue il dovere di consultarla per il proprio adempimento verso il datore di lavoro.

Infine, la Cassazione pone in un alveo di totale irrilevanza la possibilità che ha l’utente di un telefono cellulare o di una casella di posta elettronica di disattivare i segnali di ricezione di una data comunicazione o di tutte quelle ricevute. In quanto l’azione di disattivamento, se si fonda sul turbamento o sul fastidio provato dal destinatario, è già prova che il bene protetto è stato attinto e il reato è risulta consumato.