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di Francesca Mannocchi

La Stampa, 6 giugno 2023

La premier Giorgia Meloni oggi incontrerà il presidente tunisino Kais Saied e la premier Najla Bouden. Visita ambiziosa e difficile insieme. Meloni ha bisogno di un interlocutore che gestisca sull’altra sponda del Mediterraneo centrale il sempre più pericoloso flusso migratorio e porta in cambio la promessa del sostegno italiano con il Fondo Monetario Internazionale che ha sospeso un prestito di quasi due miliardi necessario all’economia tunisina affogata nell’inflazione, garantirà aiuti economici e quote di ingressi legali.

Il nodo principale è quello del prestito del FMI, bloccato da mesi dopo che Saied, a fine febbraio, aveva pronunciato un discorso violentissimo contro le persone migranti di origine subsahariana presenti nel paese, provocando un’ondata di assalti e violenze. Saied aveva ordinato alle sue forze di sicurezza di espellere tutte le persone considerate irregolari denunciando quella che ha definito “una cospirazione per cambiare la demografia della Tunisia rendendola più africana e meno araba”. Dopo il discorso di Saied le partenze verso l’Europa sono aumentate vertiginosamente e in reazione alla grave crisi sociale, al mancato rispetto dei diritti umani, alla deriva sempre più autoritaria del Presidente Saied, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno sospeso i prestiti, congelando i finanziamenti col rischio di impantanare ancora di più un paese allo stremo, indebitato per l’80% del suo PIL, con un tasso di disoccupazione giovanile che nelle aree più remote sfiora il 40%. L’Italia sa che senza i fondi la Tunisia potrebbe non riprendersi dalla crisi economica col rischio di una nuova ondata di partenze soprattutto dalle coste meridionali del paese, per questo corre ai ripari. Prima le visite di Piantedosi, le chiamate della Premier Meloni a Saied e oggi una nuova visita lampo nella capitale. L’Italia vuole sbloccare i fondi ma sa che gli aiuti non si ottengono senza riforme, e questo è il nodo più complesso. L’idea è quella di proporre due finanziamenti internazionali, con l’appoggio dell’Unione europea, uno subito per tamponare l’emergenza e un altro finanziamento quando le riforme siano state messe in campo.

Romdhane Ben Amor, responsabile del dossier migratorio del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes), da anni monitora il flusso migratorio dalle coste tunisine e analizza l’inefficacia e le conseguenze delle politiche europee. Ben Amor definisce il 2023 l’anno ‘tragico’ delle rotte tunisine. E i numeri gli danno ragione. Dei circa 51 mila sbarchi alla prima settimana di giugno circa 26.555 erano salpati dalla Tunisia, secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, contro i 3.658 dello stesso periodo del 2022.

I numeri dell’anno precedente erano già allarmanti. Nel 2022 quasi 500 persone sono state dichiarate disperse sulle coste tunisine “è sempre più frequente - dice Ben Amor - che di fronte alla scomparsa di barchini partiti dalle coste di Zarzis i funzionari tunisini non rispondano. C’è sempre meno trasparenza sui numeri dei naufragi delle vittime e dei dispersi, continuiamo a chiedere giustizia, a chiedere spiegazioni ma le autorità tunisine sono sempre più opache persino rispetto a barchini carichi di minori e famiglie.

Tutto questo è legato alla situazione politica, economica e sociale ma anche alla forte pressione esercitata sul tema dell’immigrazione irregolare. Parla un solo partito: l’Unione Europea e i suoi Paesi membri. La Tunisia rimane in silenzio”. Come a dire che il silenzio sulle morti in mare, l’opacità sui dati, le mancate sanzioni e il mancato controllo sull’operato della Guardia Costiera tunisina siano il prezzo da pagare per gli accordi (leggasi fondi) dell’Unione Europea. “L’Unione europea - continua Ben Amor - non è interessata alla democrazia e al rispetto dei diritti umani, ma alla stabilità all’interno dei paesi situati ai suoi confini meridionali, una stabilità che ha più le fattezze di Ben Ali e Gheddafi che non di un processo democratico”.

Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani ritengono che la pressione a cui è sottoposta la Tunisia da parte dei paesi europei abbiano il solo scopo di trasformare il paese in una zona cuscinetto che garantisca la sicurezza e il blocco delle partenze e dunque degli sbarchi, inasprendo un approccio repressivo che probabilmente riduce il fenomeno nel breve periodo, e andiamo incontro all’estate dunque il periodo di maggiori sbarchi, ma continua a non risolvere il fenomeno che ha bisogno di un approccio più largo che coinvolga non gli apparati di sicurezza ma un piano di lungo termine di sviluppo dei paesi coinvolti e soprattutto una strategia di tutela e rispetto dei diritti umani, che dovrebbe essere la precondizione degli accordi, non un tema laterale degli incontri bilaterali. “La Tunisia è la guardia costiera d’Europa ma l’UE continua a non avere una vera strategia per gestire il flusso migratorio internazionale” continua Ben Amor.

Kais Saied ora è di fronte a un dilemma: gestire le aspettative accettando riforme dolorose o rischiare un ulteriore declino economico e ulteriore instabilità. Perché non sono solo i migranti subsahariani vittime di razzismo a scegliere di imbarcarsi e attraversare il Mediterraneo, sono sempre più i tunisini che decidono di lasciare il paese.

“Sono oltre tre milioni i tunisini che si trovano ad affrontare la minaccia di insicurezza alimentare”, queste le parole pronunciate il 27 maggio dal presidente del Centro tunisino per gli studi sulla sicurezza globale Ezzedine Zayani che ha parlato di notevole rischio di emergenza alimentare per la Tunisia. Cifre allarmanti in un paese di poco più di 11 milioni di abitanti e che fotografano una crisi economica in costante peggioramento che secondo gli analisti rischia di portare la Tunisia sull’orlo del default, come il Libano che vive analoghe emergenze. Anche di fronte a questi dati e a questi allarmi, Kais Saied ha risposto inasprendo i toni e additando colpevoli nella platea dei suoi oppositori politici.

La settimana scorsa in visita al Ministero dell’Agricoltura, il presidente ha attaccato alcuni “noti partiti” accusandoli di aver provocato la mancanza di pane nel paese. La situazione in alcune aree della Tunisia è particolarmente tesa, gli scaffali dei supermercati si stanno svuotando perché l’aumento dei prezzi e l’inflazione hanno ridotto la quantità di cibo sovvenzionato dallo Stato. Cresce il numero di chi non può permettersi alimenti di base, sempre più costosi perché è precipitato il potere d’acquisto soprattutto delle fasce più vulnerabili della popolazione.

Saied lo sa e come nei mesi e negli anni appena passati cerca il capro espiatorio non avendo soluzioni rapide ed efficaci. Rivolgendosi ai funzionari del ministero, perciò, non ha portato un piano ma colpevoli. Ha accusato “circoli e lobby di alimentare la crisi” e gli stessi funzionari di servire i loro interessi di parte per causare crisi e ottenere un tornaconto politico. “Vogliono infiammare la situazione ma noi porremo finire a tutto questo”, frasi che evocano una nuova ondata di arresti e repressione.