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di Domenico Quirico

La Stampa, 2 agosto 2023

I jihadisti pronti a trasformare la regione nel nuovo Iraq, con i francesi nel ruolo di “infedeli”. Golpe dopo golpe trovano spazi allettanti e arruolano disperati ridotti in miseria dalle sanzioni. C’è eccitazione, attesa fremente nel Sahelistan. Dall’Adrar des Ifoghas, sconfinato teatro dove gli unici ornamenti sono le pietre e i cespugli di quella coriacea, miseranda pianta che è il lentisco, alle piste dell’immenso Teneré, il deserto dei deserti, fino al Lago Ciad e ad Agadez accucciata sotto il suo minareto di sabbia vecchio di 500 anni, in tutti gli innumerevoli santuari del Jihad saheliano, da alcuni giorni si avverte il brivido delle ore decisive. Sì. I terroristi esultano.

Ancora una volta Allah ha fatto il miracolo: gli occidentali e i loro servi apostati stanno per commettere l’ennesimo errore, intervenire nelle terre di Dio, aggredire il Niger per metter sulla sedia lo schiavo di Parigi, il traditore dei traditori, il ridicolo presidente Bazoum, appena dissellato dai golpisti. Non imparano davvero mai, i perversi. Solo dio poteva confondere così le menti di Macron e dei suoi accoliti. Negli accampamenti dei mujaheddin le preghiere sono più ferventi del solito, si scambiano le notizie che arrivano da Niamey: i colonialisti si agitano impauriti e furibondi, nessuno dà più loro retta, minacciano a vanvera, i nigerini assaltano l’ambasciata francese, non si parla più dell’Isis o di Al Qaeda come se fossero scomparsi, solo di Putin e della Wagner, il caos avanza a larghi passi. Il caos che è il braccio di dio: sia dunque lode a dio grande e misericordioso.

Per i talebani d’Africa che hanno costruito il califfato del grande Sahara, sconfitto due scalcinate offensive francesi, e vogliono ripetere i fasti di Raqqa e di Mosul, nessun scenario poteva essere migliore. I bianchi, i crociati invadono un Paese musulmano che già li odia dal profondo, una grande guerra africana può scoppiare tra le giunte militari di Mali, Burkina Faso e Niger e gli alleati degli occidentali uniti nella Cedeao, con francesi, americani, italiani insabbiati nel Sahel. Ai “garibu”, i bambini che stanno all’uscita delle città per chiedere l’elemosina e sono gli occhi dei ribelli, è stato raccomandato di dar l’avviso subito quando compariranno i soldati stranieri.

Negli accampamenti nelle zone “liberate” si preparano le armi. I droni francesi e americani, le nostre fallibili meraviglie, passano alti nel cielo e non vedono niente: solo macchie di arbusto, segni indecifrabili sulla sabbia, tombe semisepolte che coprono pietosamente la saggezza di qualche marabutto, e nel deserto di pietra frustato dal vento e dal sole solo un allucinato alternarsi di luce e ombre. Loro sono lì che aspettano l’annuncio.

È il sogno dei jihadisti: gli occidentali che arrivano a Niamey per restaurare la loro democrazia, liberare il loro presidente, e, ovviamente, aiutare le popolazioni derelitte. Come assicurano da decenni. Neanche i più ottimisti potevano sperare in un altro Iraq sulle rive del Niger, nella ripetizione africana dell’Afghanistan. Non c’è stato bisogno di molta propaganda islamista per convincere questi sudditi della Francia per l’eternità che narrano loro bugie. E che gli occidentali sono qui per difendere i loro interessi, le miniere di uranio di Arlit, parcheggiare fuori vista i migranti, tener lontane la Russia e la cina, puntellare obbedienti regimi di ladri. Hanno paura della loro debolezza, hanno paura di perdere.

Trovare reclute non è stato difficile, bisognava diventare una parte di questo mondo dei deserti, mimetizzarsi, far proprie le lotte locali, offrire denaro, preghiere e kalashnikov. Perché qui chi comanda non sono le città, comanda chi è padrone del deserto delle sue immensità, delle sue carovaniere, dei pozzi, dell’oro, dei traffici, dei suoi linguaggi. Solo per noi, ignoranti, il deserto è un esotico vuoto silenzioso.

Mentre gli aiuti umanitari e per lo sviluppo finivano nei conti in banca dei nostri fedelissimi, ben occultate da ciance facili, predigerite senza bisogno di masticare (la globalizzazione ha salvato milioni di persone…) il jihad ha predicato tra le popolazioni percosse dalla miseria e dalle prepotenze dei presidenti “democratici”: i Tuareg, le “peaux rouges”, i pellerossa come li chiamano con sprezzo sulle rive del Niger, e i pastori nomadi che ignorano le delizie dei confini insormontabili.

I colpi di Stato militari sono stati una benedizione per il jihad: ora tutto è chiaro. Di qua i buoni musulmani, di là gli infedeli con i loro accoliti. Il minacciato intervento militare dei Paesi vicini che la Francia vuole utilizzare per africanizzare la guerra è un altro tassello favorevole. Degli eserciti dei “nostri amici d’Africa” non hanno certo paura. Togolesi, beninois, senegalesi, nigeriani son soldati fiacchi, dalle uniformi flosce come le portano i cattivi soldati. Preoccupano solo i ciadiani, come loro guerrieri del deserto; nella battaglia di Timbuctu contro Abu Zeid il Macellaio furono loro a vincere.

Da un anno e mezzo, da quando “i crociati” si massacrano tra loro in Ucraina e coltivano il loro spinoso giardino, per il jihad africano sono tempi fausti. Il Burkina Faso è diventato il cuore del califfato, i militari stufi di essere mal pagati e usati come carne da macello hanno preso il potere, e così hanno perso l’aiuto occidentale, la creazione di milizie di autodifesa a base etnica ha scatenato un favorevole guerra parallela fatta di vendette, odi antichi, prepotenze. Le sciagurate sanzioni che ora colpiscono anche la popolazione del Niger moltiplicano le masse di disperati tra cui si possono distribuire kalashnikov e offrire possibilità di vendetta.

La nostra “lotta al terrorismo”, che ha martoriato luoghi dove ogni vita è soltanto in prestito, in un mondo che non concede nascondigli, ha creato nel cuore dell’Africa un enorme spazio vuoto e disperato, off limits per noi, aperto a chi avrebbe saputo riempirlo. Le rotte della droga, delle armi, dei profeti dell’islam totalitario hanno continuato intanto ad attraversare il deserto. I sequestri sono diventati una industria, l’unica che rende. Nei caffè del Sahel ti elencavano le tariffe per gli stranieri: “Tu sei italiano, non vali niente come i locali, i francesi sono una miniera, li fanno pagare più degli americani perché li odiano di più”. I jihadisti, straordinari manipolatori di anime e di furori mitici, (il paradiso, la purezza, il martirio), hanno riempito quel vuoto, lo hanno modellato a loro immagine e somiglianza. La materia non è altro che energia compressa, un dito contiene tante piccole Hiroshima. I miti sono insiemi di energia compressa. Nel Sahel il mignolo attende il nostro ennesimo errore.