di Massimo Zanchin*
L’Unità, 21 settembre 2024
Per un recluso cosa è il tempo? Qual è il suo senso? Come tutti noi sappiamo, esiste un tempo naturale e un tempo meccanico. Per un recluso il tempo naturale non esiste. Certo, attraverso le sbarre, può vedere quando fa buio o fa giorno, ma per il recluso i giorni rimangono tutti uguali. L’unica percezione che ha del tempo trascorso e che trascorre è solo guardandosi in un piccolo specchio, scorgendo i capelli che si perdono o ingrigiscono e i segni dell’età sul volto. Per un recluso non esiste nemmeno il tempo meccanico, la misura del tempo inventata dagli esseri umani per organizzarsi nel lavoro e nei commerci, perché nei pochi metri quadri di una cella è isolato dalla realtà, dalla società e da tutto. Quindi, non necessita neanche dell’orologio non avendo e non potendo prendere appuntamento con il nulla.
Al recluso forse può rimanere il tempo sensibile, ma occorrono degli strumenti per avere la percezione del suo trascorrere.
Il tempo acquista realtà attraverso la progettualità che crea l’attesa delle cose future, facendo tesoro del passato, avendone memoria utile al proprio agire nel presente. Insomma, avere la percezione del tempo significa vivere. Perché il tempo è la vita dell’anima.
Il tempo passato e che passa non è solo un ricordo, può essere anche ammonimento per un futuro riscatto. Ma se al recluso, alla sua anima si toglie il tempo, quindi, la vita negandogli occasioni lavorative o attività socialmente utili e, invece, ricevendo da parte dell’istituzioni la sola costrizione afflittiva, allora, che senso ha il tempo della pena? Come si fa a determinare il giusto tempo di pena come prezzo da pagare? Se al recluso hai tolto la percezione di questo tempo, con ciò mortificando la sua anima, allora, che senso ha determinare la pena e quantificarla con la misura del tempo? È come punire una persona con una multa in denaro dopo aver tolto a questa persona la percezione del senso e del valore del denaro.
I reclusi sono persone e hanno un’anima, non devono essere puniti togliendo loro il tempo, quel possibile tempo buono che è ossigeno per dare nuova vita a quell’anima, che ancora può essere espressione di un vero bene, un bene tangibile, meritevole della fiducia necessaria per un percorso verso un autentico, profondo cambiamento. Il senso di giustizia, che le istituzioni vogliono spacciare alla comunità come moneta risarcitoria per il torto subito, è soltanto l’afflizione del reo. Con ciò, si vuol far passare il messaggio che chi ha commesso un crimine è il male. Punito lui, tutto è bilanciato e sistemato. Perché lo Stato è giustizia.
A questo punto la domanda che si pone è: si può amare l’amore? si può voler bene al bene? si può essere giusti con la giustizia? L’amore non si può amare, perché l’amore non è sostanza, non è materia, non è un individuo, l’amore è un sentimento che si prova e si trasmette per il tramite delle nostre azioni o per quelle che riceviamo. Più esse sono frequenti e più alimentiamo l’amore che può essere verso il prossimo o qualsiasi essere vivente. Solo un’entità sovraumana, solo l’onnipotente può essere amore, bene, giustizia... Ma noi siamo solo dei poveri esseri umani, vestiti delle proprie ragioni o convinzioni e di piaceri terreni, noi possiamo in questa vita fare solo del bene o del male o entrambe le cose. Non siamo l’amore, possiamo solo amare. Non siamo il bene, possiamo solo fare del bene. Non siamo nemmeno giustizia, potendo solo cercare di fare le cose giuste.
Allora, come non può esistere la luce senza le tenebre, come non può esistere il giorno senza la notte, se noi non possiamo essere amore a meno che non vogliamo paragonarci a Dio, se non possiamo essere giustizia e non possiamo essere il bene, ecco che tutti noi non siamo il male. Perché la forma e la sostanza del bene e del male sono le nostre azioni compiute e non le persone. Affliggere il reo con la pena, non significa punire il male. È molto più utile mettere a disposizione del reo un tempo buono che gli consenta di ammonire e disprezzare le sue azioni inique, che sono la causa del male verso la comunità e verso sé stesso e i suoi cari. I reclusi non sono il male, sono persone e la loro mera l’afflizione non può risarcire chi ha subito un torto o ancor più grave una perdita.
Invece di condannare i rei al solo tempo punitivo, togliendo loro anche la percezione di questo tempo, rendendo la punizione stessa inefficace, le istituzioni dovrebbero concedere ai reclusi un tempo utile a mantenere in vita le loro anime, anime che ancora possono fare del bene, e il bene che possono fare è il vero risarcimento di cui la comunità ha bisogno.
Se si darà importanza al tempo dei detenuti, si darà importanza anche al tempo di chi soffre per ciò che ha subito, perché anche per loro per quella sofferenza il tempo si è fermato.
*Ergastolano detenuto a Opera