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di Iuri Maria Prado

Il Riformista, 3 maggio 2022

Neppure un invito all’astensione. Per raggiungere l’obiettivo della diserzione delle urne, pratica prescelta dagli anti riformatori, si confida nel fatto che i cittadini nemmeno sappiano di poter votare. Ricordo una campagna referendaria della fine del secolo scorso (credo fosse il 1997) che si concluse, come tante altre, con il triste nulla di fatto dovuto alla mancanza di quorum.

E ricordo il mio disappunto del giorno dopo nel leggere un articolo di Piero Sansonetti il quale, sull’Unità, rivendicò quel risultato come una vittoria. Disappunto perché il sistema dell’informazione, complessivamente avverso ai referendum (anche quella volta c’erano quesiti in materia di giustizia), non lavorò per convincere i cittadini a votare contro, né ancora per indurli a non votare, ma per far sì che essi nemmeno sapessero su cosa si votasse: e persino che si votasse.

In quell’articolo, il direttore di questo giornale fu generoso e anche delicato con Marco Pannella, che aveva promosso quell’iniziativa referendaria, e gli riconobbe il merito di aver condotto una battaglia importante per quanto, a giudizio di Sansonetti, sbagliata. Ma allora come oggi, purtroppo, la battaglia per l’affermazione del diritto al referendum non si combatte neppure sulle ragioni contrapposte dei “no” e dei “sì”, ma sulla stessa possibilità che i referendum si tengano in condizioni minime di accettabilità democratica: e cioè con i cittadini decentemente informati del fatto che possono esprimersi in un modo o nell’altro.

Su questi referendum in materia di giustizia, a proposito dei quali i cittadini sono chiamati (sarebbero chiamati, se qualcuno glielo facesse sapere) a esprimersi tra qualche settimana, si sta consumando la pratica tradizionalmente prescelta dagli anti-riformatori, e di cui si avvale il potere esposto a pericolo (questo potere è oggi rappresentato dalla magistratura), per mandarli in vacca: vale a dire la diserzione delle urne.

Un obiettivo cui questa volta non si tende neppure in forza di un invito all’astensione, come quello fatto da Silvio Berlusconi quando sollecitò il suo popolo a non votare per i “referendum comunisti” (anche in quel caso c’erano quesiti in materia di giustizia), ma confidando nel silenzio dell’informazione e nella inevitabile trascuratezza che esso determina presso i cittadini.

Ha ragione chi dice che questi referendum sono contro la magistratura. Sono contro la magistratura com’è, e in favore di come dovrebbe essere. E una magistratura diversa non accetterebbe di “vincere” una partita truccata: col popolo italiano - in nome del quale giudica e imprigiona - privato del diritto di conoscere i propri diritti.