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di Liana Milella

La Repubblica, 22 aprile 2024

Da 150 giorni manca il 15cesimo giudice della Corte, ma anche la terza votazione andrà a vuoto. Se ne riparla a dicembre quando scadranno altri tre giudici. Era il 18 marzo. E il presidente della Consulta Augusto Barbera, accompagnando la battuta con un sorrisetto ironico, ricordò al parterre di autorità presenti (e c’erano tutte…) che se il collegio è composto da 14 giudici, “e può capitare che la votazione finisca in parità, tocca al presidente decidere, e non è proprio la cosa migliore del mondo…”. E già, è proprio così, anche alla Corte, come al Csm, il voto del primo inquilino vale doppio se finisce pari. A palazzo Bachelet già ne abusa Fabio Pinelli, il vice di Mattarella. Dal segreto della camera di consiglio della Consulta invece non sono trapelati finora casi del genere. A meno che non facciano scuola le rivelazioni a carica ormai scaduta, come quelle teorizzate dall’ex giudice Nicolò Zanon nel suo libretto sulle “opinioni dissenzienti”, che rivendica di poter raccontare, senza incorrere nella violazione del segreto, quello che accadeva in quelle riunioni. Nonostante la fermezza di Barbera che l’ha definita “certamente una grave scorrettezza” aggiungendo però che sotto la sua presidenza “non partiranno denunce sotto il profilo penale”. Una considerazione molto forte che per nessuna ragione si dovrebbe dimenticare. Il segreto della camera di consiglio esiste; rivelare, a mandato scaduto, l’assoluta riservatezza di quelle discussioni viola le regole. E chi le conosce è libero, a sua volta, di criticarlo.

Ma adesso bisogna partire da qui, da quei 14 giudici che dall’11 novembre dell’anno scorso, quando è scaduto il mandato dell’allora presidente Silvana Sciarra, continuano a produrre decisioni e sentenze anche se manca un loro collega. Perché le Camere, in seduta comune, hanno già mandato deserte due votazioni, l’8 e il 29 novembre 2023, ignorando, come ricorda sull’Unità il costituzionalista Andrea Pugiotto, che per legge il giudice va sostituito “entro un mese”. E invece, di mesi, ne sono passati già cinque.

Si tratta di una colpa istituzionale? Sicuramente lo è. Ma è anche di più. Perché, come ha ricordato Donatella Stasio sulla Stampa, il vero rischio è che a dicembre, quando scadranno ben tre giudici costituzionali - lo stesso Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti - la Consulta resti con soli 11 giudici, e quindi in una zona di estremo pericolo, perché se anche uno solo di loro dovesse ammalarsi o essere assente per una privata contingenza “la Corte sarà costretta a fermarsi perché non si può scendere sotto la soglia di 11 giudici”. Un rischio reale, se si pensa “che già da novembre i giudici in scadenza non possono partecipare alle udienze, ed è grave che la giustizia costituzionale rischi la paralisi”. Stasio, che è stata per cinque anni portavoce della Consulta, e che negli oltre trenta precedenti ne ha seguite udienze, decisioni e nomine, esprime con piena legittimità di giornalista e di analista, una preoccupazione democratica, quella di chi ha cuore il destino delle istituzioni, messo in pericolo da uno sfrenato spoil system.

Quello di chi insegue una corte “melonizzata”. Proprio come è stato “melonizzato” il Csm. Dove, rispetto ai dieci posti disponibili per i consiglieri laici, la maggioranza se n’è appropriata di sette - di cui ben quattro in quota Fratelli d’Italia - lasciando solo tre posti all’opposizione, Pd, M5S, Italia viva. Con le conseguenze oggi ben visibili. Un fronte laico di destra forte, in grado di determinare le nomine, e che sta già sponsorizzando in termini entusiastici l’idea del Guardasigilli Carlo Nordio di sottoporre i magistrati ai test psicoattitudinali.

Ma quello che davvero colpisce, nel silenzio di tutta l’opposizione, perché non si registrano prese di posizione o reazioni da parte di Pd, M5S, Avs, è l’acquiescenza alla linea imposta dalla maggioranza sui tempi lunghi per eleggere un solo giudice in vista di un “accordo complessivo” che scatterebbe solo a dicembre, quando sul piatto ci saranno quattro giudici da assegnare. Giorgia Meloni ha già detto che non vede anomalie nel rivendicare i posti che spettano alla maggioranza. Perché sarebbe già accaduto prima che lei prendesse il potere. Ne intascheranno due o tre su quattro? È probabile. Le opposizioni litigheranno per accaparrarsi l’unico posto rimasto? Nella speranza di ottenere le briciole, a sinistra tacciono.

Niente quorum nelle prime votazioni, ovviamente niente quorum neppure martedì. Quando i due terzi scenderanno a tre quinti tutto sarà più facile, anche perché l’ex terzo polo, anche se in frantumi, ideologicamente non fa mai mancare alla maggioranza il suo consenso sulle materie giuridiche. Quindi potrà offrire la dozzina di voti che manca al governo per farcela. Meloni potrebbe portare a casa il suo sogno, tre meloniani alla Consulta e un esponente all’opposizione, magari tra Iv e Azione. Poi anche la Consulta diventerebbe più “permeabile” in vista delle riforme costituzionali di palazzo Chigi. E non solo di quelle, ma delle leggi tutte che via via vengono approvate.