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di Alessandro Monti*

Il Manifesto, 30 aprile 2022

La guerra in Ucraina ha oscurato la recente condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) al Governo italiano per trattamenti inumani e degradanti. La sentenza impone di risarcire i danni morali a Giacomo Seydou Sy (classe 1994).

Il quale, affetto da gravi patologie psichiche, non è stato messo in condizione di curarsi in una struttura sanitaria esterna al carcere di Rebibbia, dove invece è restato detenuto per due anni senza poter ricorrere. Un caso emblematico delle distorsioni del nuovo sistema di esecuzione delle misure di sicurezza nei confronti di malati di mente autori di reato, ritenuti socialmente pericolosi.

Il sistema si basa sulle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems) da aprire in tutte le regioni al posto degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) che a metà degli anni Settanta hanno sostituito i vecchi “manicomi criminali” creati durante il fascismo in 5 regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Campania, Sicilia) dove venivano reclusi, senza limiti di tempo, i “rei folli”. Gli Opg sono restati a lungo operanti malgrado reiterati casi di malati detenuti in condizioni fatiscenti, privi di adeguate cure e di rispetto delle norme igienico-sanitarie.

La loro chiusura è stata disposta solo con le leggi 9/2012 e 81/2014 che hanno cambiato finalità e modalità delle misure di sicurezza: da detentive a terapeutico riabilitative. Il giudice le deve adottare provvisoriamente, come ultima ratio, in assenza di alternative meno restrittive. Il nuovo assetto delle Rems regionali - che debbono ospitare non più di 20 malati e rispondere ad appositi requisitisi fonda su centralità di cure riabilitative personalizzate, territorialità ed esclusività della gestione sanitaria. Il Servizio di Salute Mentale delle Asl ricovera il malato nell’area di residenza per evitargli un eccessivo sradicamento e favorire il turn-over.

L’intento è tutelare insieme due diritti fondamentali della persona garantiti dalla Costituzione: il diritto del malato a ricevere le cure necessarie e il diritto delle potenziali vittime di aggressione a essere protette mediante la sorveglianza del malato pericoloso. una riforma ineccepibile sulla carta, sottovalutata però nella complessità di realizzazione.

Resistenze delle realtà locali e del personale proveniente dagli Opg; inadeguato coordinamento dei soggetti coinvolti a livello centrale e periferico; eccesso di disposizioni amministrative (a volte sovrapposte) in materia riservata alla legge; errori di valutazione del fabbisogno strutturale e finanziario, hanno concorso a rallentarne la piena operatività e il corretto funzionamento. I numeri mostrano lo stato di inattuazione della riforma.

Se gli Opg, con una capienza di 1322 posti, al 30 giugno 2010 ospitavano 1547 detenuti, le nuove Rems, distribuite su tutto il territorio nazionale (tranne in Umbria, Molise e Val d’Aosta), alla data del 31 luglio 2021 erano 36 con appena 652 posti (a regime, 740). Del tutto insufficienti, dunque, ad accogliere i già internati negli Opg e le nuove assegnazioni.

Inevitabili le lunghe attese dei malati in carcere (in media 304 giorni) che in complesso oscillavano tra 750 (secondo il Dipartimento Affari Penitenziari) e 578 (per la Conferenza delle Regioni), la maggior parte (78%) concentrata in Campania, Lazio, Puglia, Calabria e in Sicilia che da sola ne aveva ben 172. Né si dispone di soluzioni alternative che il magistrato possa adottare ove si attenui la pericolosità dell’infermo: le liste d’attesa sono formate non per gravità ma in ordine cronologico e scarseggiano appropriati luoghi di cura esterni alle Rems.

Al riguardo pesa il modesto livello di risorse destinate ai servizi di salute mentale: appena il 2,9% degli stanziamenti per tutto il Ssn. Rischia così di protrarsi in modo incontrollato la detenzione di infermi di mente, fonte di soprusi e illegalità più volte segnalati dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Trattandosi di casi analoghi a quello del giovane Giacomo Seydou Sy, se denunciati alla Cedu, i periodi in carcere saranno qualificati inumani e degradanti, vietati dall’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

E sono già pendenti presso la Corte vari ricorsi che non potranno che essere accolti con ulteriori condanne dell’Italia e della sua immagine nel mondo. Per fronteggiare questa deriva servirebbero almeno 60 Rems, con 1800 posti letto (3 ogni 100 mila abitanti). E per averle non basta che il governo eserciti i poteri sostitutivi nei confronti delle regioni inadempienti e stanzi nuovi fondi. Occorre rimuovere le richiamate criticità adottando i provvedimenti indicati dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza 22/2022 che ha confermato la costituzionalità della riforma.

A partire da un più ampio coinvolgimento del Ministero della Giustizia nella programmazione del fabbisogno strutturale e finanziario e nel coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle Rems, in linea con l’artico- 10110 della Costituzione che riserva al Guardasigilli la competenza in materia di “organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”.

Per scongiurare altre censure della Cedu, resta cruciale una più chiara definizione dei poteri della magistratura nel trattamento degli internati ai quali riconoscere maggiori strumenti di tutela giurisdizionale. La riforma, però, potrà dirsi compiuta solo quando saranno superati i pregiudizi scientifici e culturali su curabilità delle persone affette da patologie psichiche, possibilità di guarire e reinserirsi nella società civile.

*Professore Ordinario di Teoria e politica dello sviluppo, già Facoltà di Giurisprudenza, Università di Camerino