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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 13 luglio 2023

Siamo nel pieno della calura estiva, e in carcere si soffre e si muore. Come di consueto, questo è il periodo in cui nella vita quotidiana aumentano i malori, si acuiscono le patologie e si verificano più suicidi. Nei penitenziari, i problemi si amplificano, soprattutto con le attuali condizioni strutturali e il sempre più evidente sovraffollamento.

L’ultima morte quella di un detenuto di 44 anni che si è impiccato ieri nel carcere di Torino, all’interno della sua cella. Circa un mese fa era stato dimesso dalla Sezione Psichiatra VII Padiglione A e, successivamente trasferito al padiglione B, XI Sezione. Sempre ieri è da registrare la morte, la cui causa è ancora da accertare, ma molto probabilmente dovuta a un infarto, di Giuseppe Petrella, un cinquantunenne recluso nel carcere di Benevento che avrebbe finito di scontare la pena a ottobre. Tuttavia, due giorni prima, nel carcere di Poggioreale, era morto un giovane algerino di soli 24 anni, le cui cause sono ancora da stabilire. Dall’inizio dell’anno, abbiamo raggiunto quota 33 suicidi, con un totale di oltre 68 decessi in carcere.

Secondo il Garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Samuele Ciambriello, i dati a livello nazionale e regionale sono preoccupanti. Durante i mesi estivi di luglio e agosto, si registra un aumento delle morti in carcere dovute a infarti, malattie e suicidi. Per Ciambriello è necessario agire sulla prevenzione, piuttosto che limitarsi a commemorare queste tragedie. Esistono numerosi sintomi di disagio e problematiche sanitarie che fungono da campanelli d’allarme, e monitorarli e intervenire tempestivamente è fondamentale.

Oltre a ciò, le condizioni di vita fisiche, ambientali e igienico- sanitarie all’interno dei penitenziari, unite al sovraffollamento e alle temperature elevate, sono fattori che contribuiscono all’aumento delle forme di autolesionismo. L’assenza di figure di supporto e di aiuto sociale rende ancora più difficile per i detenuti affrontare le difficoltà quotidiane e le sfide emotive che derivano dalla privazione della libertà. Ciambriello denuncia la cinica indifferenza e la mancanza di coraggio politico nei confronti delle problematiche carcerarie. Il Garante campano sottolinea che la riforma della giustizia dovrebbe includere un capitolo significativo sul sistema carcerario stesso, coinvolgendo non solo gli agenti penitenziari, ma anche gli educatori e tutti coloro che operano nel settore privato e nel volontariato sociale.

Ma è altrettanto interessante ricordare che il Garante Nazionale delle persone private della libertà ha sollevato una questione cruciale riguardo ai suicidi all’interno delle carceri italiane che non possiamo ridurre in modo semplicistico alle sole condizioni materiali degli istituti penitenziari o al sovraffollamento. Un aspetto che emerge è il suicidio di coloro che sono prossimi alla liberazione, magari dopo aver scontato una lunga pena.

Questo gesto estremo non può essere ragionevolmente attribuito esclusivamente al degrado delle strutture o alla densità della popolazione detenuta, elementi che si sono sperimentati per tutto il periodo di detenzione. Anche chi si toglie la vita poche ore o pochi giorni dopo l’ingresso in carcere (15 casi su un totale di 85 suicidi nel 2022, di cui 10 entro le prime 24 ore) sembra essere determinato non tanto dall’impatto con le condizioni della prigione, quanto dalla percezione di essere caduti in un ‘buco nero’ senza vie d’uscita.

Questo ‘buco nero’ è chiaramente percepito da coloro che decidono di suicidarsi poco prima della fine della pena. La mancanza di prospettive di un effettivo reinserimento nella vita sociale, di riferimenti di sostegno e di possibilità di superare lo stigma sociale viene avvertita come una realtà inalterata. È per questo motivo che la morte di coloro che sono vicini a tornare in libertà interpella in modo implacabile l’intera società civile: sia le reti di sostegno sociale che l’intera comunità sembrano assenti rispetto al dovere civico di reintegrare coloro che hanno concluso la loro pena.

Questa riflessione solleva importanti questioni sulla natura complessa del sistema penitenziario e sulle sfide che affronta. Non possiamo limitarci a guardare solo alle condizioni materiali delle carceri, ma dobbiamo affrontare il problema in modo più ampio, considerando il contesto sociale in cui operano i detenuti. Il reinserimento sociale dovrebbe essere un obiettivo primario, e il sostegno emotivo e psicologico dovrebbe essere garantito a tutti i detenuti, specialmente a coloro che si avvicinano alla fine della pena.

La responsabilità non ricade solo sulle istituzioni penitenziarie, ma anche sulla società nel suo insieme. Solo attraverso un approccio più ampio e inclusivo possiamo sperare di affrontare efficacemente il problema dei suicidi nelle carceri italiane e garantire una reale opportunità di riscatto per coloro che hanno scontato la pena. È giunto il momento di riconoscere che il sistema carcerario non può essere considerato un ‘buco nero’ dalla società, ma piuttosto un luogo in cui si svolge un lavoro importante e delicato per la riabilitazione e il reinserimento dei detenuti. La riforma del sistema penitenziario dovrebbe essere una priorità politica e sociale, affrontando soprattutto le questioni emotive che influenzano la vita delle persone recluse. Senza dimenticare che il carcere, in un Paese moderno e civile, dovrebbe essere considerato l’estrema ratio.