di Francesco Bei
La Repubblica, 25 febbraio 2023
È normale e democratico un carcere dal quale non si può mai uscire, nemmeno dopo 30 anni di reclusione, nemmeno per un permesso premio di qualche ora? Dopo la sentenza della Cassazione che conferma il 41 bis per l’anarchico, si apre il dibattito sul “fine pena mai”.
La Cassazione ha rigettato ieri il ricorso di Alfredo Cospito, la sua porta resterà chiusa, ma sono centinaia in Italia i “condannati a morte in vita”, come si auto-definiscono gli ergastolani al 41 bis. Una storia le racconta tutte. “In seguito al decreto sull’ergastolo ostativo, sento che la mia vita successiva non avrà più senso e, non volendo, sogno il suicidio”. A parlare, anzi a scrivere, è Giovanni Di Giacomo. Killer e boss di mafia, ha trascorso già 40 anni in carcere e a luglio ne compirà 69. Non si dichiara innocente, ma dalla sua cella del carcere di Viterbo guarda con orrore e disperazione alla prospettiva di non uscire più, se non da morto. Fine pena mai, appunto, nonostante sentenze della Consulta e della Corte europea dei diritti dell’uomo abbiano detto a più riprese che un regime senza prospettiva alcuna di liberazione, neppure dopo decenni, anche con una condotta carceraria irreprensibile, sia disumano e contrario alla Costituzione e ai trattati internazionali.
Il problema è che Di Giacomo, e tanti altri come lui al 41 bis, sono di fatto esclusi dalle norme più favorevoli sull’ergastolo ostativo varate nel dicembre scorso dal governo Meloni. I nuovi percorsi di legge, che non prevedono più come prima solo e soltanto il “pentimento” come unica condizione per tornare all’ergastolo “normale”, non si applicano infatti ai detenuti al 41 bis. Il fatto che il tema sia stato sollevato anche da Alfredo Cospito non è una buona ragione per gettarlo nel cestino senza fermarsi un momento a riflettere.
È normale e democratico un carcere dal quale non si può mai uscire, dopo 30 anni di reclusione, nemmeno per un permesso premio di qualche ora? La differenza con gli ergastolani “normali”, che dopo 26 anni possono (attenzione, non è automatico) ottenere la libertà condizionale, è gigantesca e crea un circuito kafkiano nel quale l’essere umano finisce stritolato.
Di Giacomo è un assassino, ma può diventarlo anche lo Stato italiano? Il detenuto, dalla sua cella che resta sempre chiusa, con una grafia incerta ha scritto una lettera che è un grido di aiuto: “Per disperazione ho chiesto al magistrato di sorveglianza di Viterbo di poter accedere al suicidio assistito, perché nei miei confronti d’ora in poi sarà attivato solo un accanimento giudiziario”. Se deve restare in cella fino a novanta anni, il quasi settantenne Di Giacomo - entrato in galera quando a palazzo Chigi c’era Bettino Craxi e Ronald Reagan alla Casa Bianca - preferisce farla finita subito. Almeno la sua fine avrebbe un senso, o almeno così spera. “Voglio che la mia morte sia frutto di un significato specifico. E cioè dimostrare che l’Italia, con l’ultimo decreto sull’ergastolo ostativo, ha ripristinato la pena di morte”.
È una provocazione la richiesta del suicidio assistito, ma fino a un certo punto, dato che sono clinicamente dimostrati gli effetti sul fisico e sulla mente di una detenzione così prolungata senza prospettiva di uscire. “Quando non si possono più chiedere i benefici penitenziari, viene tolta ogni speranza futura, è la morte civile. Se dopo 40 anni di carcere non posso più accedere ai benefici, significa che li ho scontati inutilmente. Lo stesso vale per quelli che dovrò scontare in seguito, tutto ciò in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con gli articoli 2 e 3 della Carta dei diritti dell’uomo”. La pena, scrive ancora Di Giacomo, “deve tendere al reinserimento del condannato e deve essere improntata al senso di umanità, cosa che con il decreto è stata debellata. Nel mio caso ogni diritto è stato alienato”.
C’è una risposta facile a questa richiesta di aiuto. Dissociati dalla tua organizzazione, collabora, dimostra di non essere più pericoloso e ti toglieranno il 41 bis. Una volta che tornerai un ergastolano “normale” potrai sperare di ottenere benefici come la semi-libertà e la libertà condizionale. Il problema è che, di fatto, il 41 bis non viene tolto mai a nessuno. Si è parlato molto di Cospito e ieri è andata a finire come abbiamo visto. Per i mafiosi non se ne parla proprio. Il rinnovo della misura afflittiva da parte del ministro della Giustizia avviene ogni due anni in maniera quasi automatica. E i ricorsi, davanti al tribunale di sorveglianza di Roma, sono tutti respinti. Della sorte di questi vecchi mafiosi nessuno se ne interessa, avendoli l’ordinamento e l’opinione pubblica degradati a sub-umani. Ma anche per i peggiori criminali dovrebbe valere la Costituzione, benché da liberi se la siano messa sotto i piedi macchiandosi le mani di sangue. La Repubblica tuttavia è più forte di loro e potrebbe iniziare a dimostrarlo riaprendo una piccola luce dentro il buio di quelle celle.