sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Damiano D’Agostino

di hollywoodreporter.it, 14 aprile 2024

“La seconda vita” è un film sulla rinascita, sulla ripartenza. “Anna, la protagonista, ha scontato la sua pena, ha capito il suo errore. Ora vuole costruire un futuro”, racconta l’attrice Marianna Fontana. La pellicola è stata recentemente proiettata nel penitenziario di Rebibbia. Al capolinea della linea B della metropolitana di Roma, fermata Rebibbia, c’è una scritta: “Fettuccia di paradiso stretta tra la Tiburtina e la Nomentana. Terra di mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi”. La firma è quella di Zerocalcare, il protagonista è il quartiere di Rebibbia, zona della periferia romana (a nord-est) nota principalmente - purtroppo - per la struttura penitenziaria. Tra quelle imponenti mura grigia, come in quelle di altre carceri italiane (tra cui Trento, Bolzano, Volterra e Trani), il regista Vito Palmieri, l’attrice Marianna Fontana e la produttrice Chiara Galloni, hanno concluso lunedì 8 aprile una distribuzione parallela di “La seconda vita”, ultima pellicola di Palmieri che racconta la storia della giovane archivista Anna, e del suo tentativo di ricostruirsi una vita dopo anni di carcere.

Il film, arrivato nelle sale il 4 aprile, è una fotografia intima e drammatica - a tratti tragica - della cultura italiana in termini di carcere, detenuti e giustizia. Una storia, quella con protagonista Fontana, stretta tra la volontà di ricominciare e il freno del pregiudizio; tra il voler dimenticare, cancellare quasi, il passato, fino a rivederlo, affrontarlo.

La giustizia riparativa - “Si parla di giustizia riparativa”, spiega la mediatrice Maria Pia Giuffrida, dell’associazione Spondé, che ha accompagnato all’interno della casa circondariale di Rebibbia Palmieri, Fontana e Galloni. “Il reato non è solo la lettura di una norma, non c’è solo una responsabilità giuridica, ma è la responsabilità relazionale. Il tentativo è quello di rendere presenti le vittime davanti allo sguardo di chi ha commesso un reato, un incontro che cambia completamente l’assetto esistenziale delle persone”. “Si sconta la pena, ma rimane quella che noi mediatori chiamiamo l’eccedenza”, continua Giuffrida. “È il dolore dell’altro, la sua ferita. Ed è una scelta drammatica che non lascia identici, si cambia. Anche se la vittima non vorrà incontrare il reo, già il fatto di aver pensato all’incontro cambia la vita”. La giustizia riparativa considera quindi il reato principalmente come un danno alla persona, proponendo un approccio che vede le vittime, le comunità, attivamente coinvolte nella riparazione, mentre chi ha commesso il crimine rimedia alla sua condotta.

“Il film nasce con l’idea di un incontro impossibile”, spiega il regista Vito Palmieri, specificando che la storia di Anna non è tratta da alcun fatto di cronaca reale. “Inizialmente non doveva raccontare di carcere e recupero, ma anche solo un amore impossibile tra due persone sole, introverse. Poi ho avuto occasione di fare una lezione di cinema nel carcere di Bologna e di incontrare i detenuti per tanto tempo, e con loro è emersa la paura della società, del pregiudizio”.

Un film sulla ripartenza - Non è la prima volta che Palmieri affronta il tema della “giustizia riparativa”, al centro del documentario del 2022 Riparazioni. Ora, con La seconda vita ha voluto realizzare un film “sulla rinascita, sulla ripartenza”.

“Ma, più in generale su un pensiero comune a tutti, quello di avere una seconda possibilità. Inizialmente non c’era l’idea di un finale speranzoso, poi quando ho scoperto la giustizia riparativa, il film è diventato un flusso di coscienza, dal dialogo e dall’amore tra Anna e Antonio (interpretato da Giovanni Anzaldo, ndr) a quello con la madre”.

“Interpretare Anna è stata una responsabilità”, racconta Fontana, che in passato ha recitato in film come Perez e Indivisibili di Edoardo De Angelis e Capri - Revolution di Mario Martone. “Quando Vito mi ha proposto il film, inizialmente non sapevo come avvicinarmi al personaggio, ma grazie a un percorso fatto con il regista stesso e con una criminologa, piano piano ho costruito questo personaggio, anche sul set. Era importante sentire il dolore che provava Anna, questa ferita interna che non si richiuderà mai, ma anche questa volontà di tornare a vivere e di essere di nuovo accettata dalla società”.

Anna, la seconda vita - “Anna ha scontato la sua pena, ha capito il suo errore. Ora vuole una nuova vita”, aggiunge Fontana. Prima di entrare nel penitenziario, area femminile, c’è un locale, il Cookery Rebibbia. Una tavola calda, bar e pasticceria gestita dal Gruppo CR, e compreso nella cinta muraria della terza casa circondariale di Rebibbia. Nel locale, si legge sul sito, si offre “opportunità di riscatto a chi sta affrontando il proprio percorso di rieducazione all’interno del carcere”. Di Anna, all’inizio del film, non si conosce nulla. Sta cercando lavoro, come tanti, e lo trova, nella biblioteca pubblica di questo borgo mai nominato, ma che di fatto è il comune di Peccioli, in Toscana, riconoscibile dalle gigantesche statue vicine alla discarica. Figure umane di quasi 10 metri che emergono dal terreno, rinascono.

“Inizialmente ho fatto un po’ fatica a capire come collocare queste statue nelle scene, in sceneggiatura non c’erano le statue”, spiega Palmieri, sottolineando come ha inserito queste sculture, realizzate nel 2011 da Naturaliter Snc, insieme al direttore alla fotografia Michele D’Attanasio e senza usare troppi virtuosismi tecnici. Inquadratura fissa, esterno-giorno, Anna è seduta sugli scaloni di un piccolo anfiteatro mentre chiama la mediatrice penitenziaria, con la scultura immobile e imponente davanti a sé che cerca di liberarsi dal terreno. “Ho trovato un lavoro, sono felice”, dice.

La scelta di Peccioli - La scelta di Peccioli è stata influenzata sia dalla presenza di queste statue, sia per l’estetica del borgo. “Volevo ambientare il film in un non luogo, nel film non ci sono accenti o cadenze, non sappiamo da dove vengono i personaggi, perché non sentivo l’esigenza di raccontarlo”. Il borgo ha dato la possibilità a Palmieri di ambientare la sua storia “in un’isola felice, dove sembra andare tutto bene, ma che ha in sé un alone di mistero”. “C’è l’impressione che qualcosa di brutto possa succedere anche qua, anche nell’isola felice il pregiudizio può vincere purtroppo”. “Il personaggio di Anna mi ha lasciato molto”, aggiunge Fontana. “Ho lavorato molto sull’interiorità, esplorando anche il mio animo, e mi ha lasciato una grande maturità nell’affrontare il dolore. Anna è diventata una mia grande amica, e come personaggio che interpreto, cerco di capirlo, ascoltarlo, senza giudizio. Io ho solo dato un volto e una voce, poi il film è di chi guarda”.

La proiezione a Rebibbia - La proiezione nei penitenziari, spiega invece la produttrice del film Chiara Galloni, non fa parte di una “trovata di marketing”. “Il film è stato lavorato in una logica di produzione di impatto sociale fin dalle sue fasi di scrittura, e l’arrivo di un percorso personale con la comunità e con mediatori. Nella fase di produzione sono state coinvolte persone detenute in permesso come comparse sul set”. E la distribuzione nelle carceri, in anteprima, è quindi la chiusura di questo percorso. Dopo la proiezione nel piccolo cinema di Rebibbia, alla presenza di circa una quarantina di detenute del penitenziario femminile, Palmieri, Fontana e Galloni erano più che soddisfatti, descrivendo l’esperienza come “diversa dalle altre svolte finora”. Il pubblico era, infatti, completamente femminile, ed erano “coinvolte nella narrazione” in un “momento catartico collettivo”, dice Galloni. “Hanno vissuto il film, pensavano ad alta voce, erano rumorose in senso buono, hanno dato voce ad Anna - spiega Palmieri - Quando subiva un pregiudizio o un’ingiustizia, rispondevano come se fossero loro protagoniste, tutte”. E alla fine del film, volutamente aperto, “le detenute hanno visto un seguito, un futuro alla storia di Anna”.