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di Carla Chiappini*

Ristretti Orizzonti, 15 marzo 2022

Le parole sono importanti. Sempre e comunque, in tutte le relazioni umane. Servono a capirsi o a confliggere, a rispettarsi o a offendersi. Credo che troppo spesso il volontariato nell’ambito della giustizia - già di per sé complicato e delicato - sia svalorizzato dalle stesse istituzioni che ne hanno bisogno almeno quanto le persone sottoposte a esecuzione penale. Quante e quante volte mi sono trovata a tavoli di lavoro a cui erano seduti dottori e dottoresse ma, quando era il mio turno, ero sempre la signora Tal dei Tali volontaria.

Quindi, in un contesto in cui la precisione dei termini è quasi maniacale, tu ti ritrovi a essere identificata soltanto nel tuo ruolo di volontaria/o. Perché? È un modo per rimarcare la forza dei ruoli istituzionali e relegare in una posizione giusto un po’ subalterna la persona che si impegna gratuitamente a favore della comunità detenuta o condannata a una pena extra - muraria?

È tanto tempo che cerco di capire il senso, o meglio faccio finta di non capire il senso. Ma quando leggo un’impugnazione della Procura di Reggio Emilia che mi definisce “una mera volontaria” mi dico che forse sarebbe utile cercare parole nuove, un pochino più rispettose. Rido con l’amica di sempre ma sono amareggiata, molto amareggiata e parecchio seccata. Controllo sul vocabolario il significato del termine “mero” e trovo che viene preposto al sostantivo per ridurne il significato ai suoi limiti più propri e oggettivi.

Bé, insomma, non esageriamo! Certo che sono una volontaria - quando e dove ritengo che ne valga la pena - ma fortunatamente sono abbastanza certa di essere anche tante cose, di avere tante competenze che mi sono costate impegno e fatica, che non desidero ostentare (quanta volgarità trovo in certe ostentazioni) ma che fanno profondamente parte della mia persona e che di volta in volta decido di spendere gratuitamente per qualcosa o meglio qualcuno per cui ritengo valga la pena.

E mai e poi mai mi sentirei di riferirmi a qualsiasi persona come un “mero magistrato”, un “mero legale” o un “mero detenuto”. È una questione di rispetto, credo.

*Giornalista, responsabile della redazione di Ristretti Parma