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di Francesco Grignetti

La Stampa, 19 gennaio 2023

L’accusa in Aula lanciata dalla senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra. Depositate le motivazioni della sentenza sull’appello bis: “Il falso verbale di arresto fu l’origine dei depistaggi”. “L’Italia spende meno di altri paesi europei per la giustizia, è ventiduesima per numero di magistrati in proporzione alla popolazione ed è uno degli ultimi, fra quelli appartenenti all’Ocse, per lentezza delle cause civili.

L’art. 111 della Costituzione viene travolto dalla lunghezza dei processi penali con danni irreparabili per indagati e vittime dei reati, prosegue Cucchi - lo ha detto in Aula la senatrice dell’Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Cucchi sulla relazione del ministro Nordio sull’amministrazione della Giustizia.

E la soluzione proposta è tagliare in modo lineare i processi penali, introducendo nuove scellerate regole di giudizio che, con i riformati articoli 408 e 425 del codice di procedura penale, si dà ai gip e ai gup la possibilità di proseguire con i procedimenti solo quando sono ragionevolmente convinti della previsione di condanna degli indagati, mentre fino a ieri era sufficiente che giustamente ritenessero opportuno e doveroso la celebrazione del dibattimento. In questo modo saranno già considerati colpevoli gli imputati rinviati a giudizio, in barba alla Costituzione. Tanti importanti processi per gravissimi reati non avrebbero potuto raggiungere la verità e fare giustizia”.

“Faccio esempi importanti - ha aggiunto Cucchi - come il processo Aldrovandi e il processo Bergamini che si sta tuttora celebrando a 32 anni dalla sua uccisione e dopo ben due archiviazioni. E infine il processo che ho vissuto in prima persona dopo 160 udienze e 16 gradi di giudizio: quello per l’uccisione di mio fratello Stefano. Ebbene, queste scellerate modifiche non ne avrebbero consentito la celebrazione. Non ci saranno mai altri casi come questi perché non sarà consentita la celebrazione dei processi. Ci saranno tanti imputati figli di nessuno ritenuti colpevoli senza processo e tante vittime senza possibilità di ottenere verità e giustizia”.

“Lancio oggi - ha continuato la senatrice - un vero e proprio grido di dolore per lo scempio che ci si appresta a fare della Costituzione in materia di giustizia. I cittadini percepiscono la giustizia come inadeguata ed incapace di assicurare la tenuta del patto sociale. La colpa, per la verità, non è del ministro Nordio o della maggioranza che la sostiene. Però il ministro eviti di assumersela con le riforme che ha annunciato di voler fare.

Dia un taglio netto con il passato, non si renda corresponsabile di tale scempio. Qualcuno ha detto che questa riforma è buona perché suscita tante critiche. Vuol dire che ha vissuto poco, come ho fatto io, nelle aule giudiziarie. Non si può aziendalizzare il sistema giustizia tagliando indiscriminatamente il numero dei processi. Resta un miraggio la tanto sbandierata e sicuramente utile depenalizzazione delle migliaia di reati minori bagatellari che ingolfano i tribunali. Il rischio è che sarà ancora di più un processo per ricchi e potenti a danno dei cittadini normali o, peggio, dei più deboli. Penso di interpretare la supplica, il grido che viene dal paese di sotto, quello fragile, il più colpito da questo impianto legislativo: no alle riforme del ministro Nordio”.

La sentenza del processo bis - “La conducente univocità probatoria dei fatti e la mancanza di una plausibile spiegazione alternativa inducono a ritenere provato che Mandolini avesse avuto notizia del pestaggio al momento della chiusura e sottoscrizione del verbale di arresto e che, dunque, avesse consapevolmente ed intenzionalmente omesso di menzionare i due autori della violenza su Stefano Cucchi fra gli operanti l’arresto e di riferire del comportamento oppositivo del Cucchi al momento dell’identificazione per accertamenti dattiloscopici e fotosegnaletici”.

È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza nel processo d’Appello Bis per le accuse di falso nel caso Cucchi con cui lo scorso luglio sono stati condannati a tre anni e sei mesi il maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia, e a due anni e quattro mesi il carabiniere Francesco Tedesco, il militare che con le sue dichiarazioni ha fatto riaprire le indagini sul caso di Stefano Cucchi. Una sentenza pronunciata a poche ore dalla prescrizione. Per i giudici ricorrono tutti gli elementi del reato di falso, commesso dal pubblico ufficiale per occultare un altro delitto ed assicurare ad altri l’impunità per altro reato e consistito nell’omissione dell’attestazione di fatti destinati a provare la verità. “Il reato commesso da Mandolini è connotato da rilevante gravità, sia con riferimento alla capacità a delinquere - perché l’immediata falsificazione è rivelatrice dell’abilità di reagire, anche commettendo illeciti, senza frapporre all’azione delittuosa titubanze o meditazione -, sia per l’intensità del dolo intenzionale, sia per l’entità delle conseguenze della condotta, posto - si legge nelle motivazioni - che il falso nel verbale di arresto va individuato come la madre dei successivi depistaggi che hanno inizialmente sviato le indagini sugli autori della violenza subita da Stefano Cucchi verso gli agenti della polizia penitenziaria”.

“Non deve omettersi, nella valutazione di elevata gravità del delitto e con riferimento alla condotta contemporanea al reato, che Mandolini, quando ha commesso il fatto, rivestiva, quale comandante interinale della Stazione Carabinieri Appia, una posizione di garanzia dell’integrità dei ristretti per l’attività di servizio, e che i doveri inerenti quella posizione sono stati violati - sottolineano i giudici - oltre che con la condotta di falso finalizzato a coprire la violenza subita dal Cucchi, con la denegata tutela connessa all’assenza di cure tempestive che sarebbero state prestate a Stefano Cucchi se il comandante della Stazione avesse, come era suo dovere fare, immediatamente attivato i controlli sanitari, anche solo per la verifica che lo stato di Stefano Cucchi, dopo le botte, non richiedesse interventi medici ulteriori e in modo tale da rassicurare l’arrestato sulla, doverosa, stigmatizzazione ambientale dell’abuso commesso dai pubblici ufficiali che lo avevano in custodia; condizione che - sottolineano i giudici - avrebbe certamente prodotto la rivelazione precoce delle sofferenze patite da Stefano Cucchi e, auspicabilmente, l’interruzione della serie causale che ha condotto alla sua morte”.

Quanto a Tedesco, che non ha partecipato al pestaggio di Cucchi, i giudici sottolineano però “la gravità della condotta posta in essere da un pubblico ufficiale che avendo assistito ad un reato particolarmente odioso, in quanto commesso da altri pubblici ufficiali ai danni di un cittadino inerme, ha violato il suo dovere di denuncia, fornendo un contributo minore, ma non minimo, alla consumazione del reato di falso; che lungi dall’essere di modesta gravità, ha rappresentato l’origine di una serie di comportamenti devianti realizzati a cascata, reiterati nel tempo per anni, tentando sempre di allontanare gli inquirenti dal reale accadimento dei fatti”.

“Non si vuole certo qui sminuire il coraggio dimostrato dal Tedesco quando è intervenuto nell’immediatezza in favore di Cucchi e, seppure tardivamente, a favore dell’accertamento della verità - scrivono i giudici in riferimento al ruolo e alle rivelazioni fatte da Tedesco in seguito - si vuole solo evidenziare che nella presente vicenda diversi sono gli elementi da considerare nella commisurazione della pena, diversi e di segno opposto, rispetto ai quali la sintesi attuata dal primo Giudice appare a questa Corte assolutamente condivisibile, così come il giudizio di comparazione - in termini di equivalenza - formulato relativamente alle attenuanti generiche già riconosciute all’imputato; piuttosto, tenuto conto delle conclusioni favorevoli all’imputato raggiunte a proposito di una delle condotta di falso contestate - concludono i giudici - la pena deve essere ridotta della misura di mesi due di reclusione”.

L’Appello bis per Mandolini e Tedesco era stato deciso dalla Cassazione lo scorso aprile nell’ambito dell’udienza con la quale era stata resa definitiva la condanna a 12 anni di carcere per i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusati di omicidio preterintenzionale.