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di Mitja Gialuz* e Michele Passione**

Il Dubbio, 26 settembre 2023

Due articoli in tre giorni: bisogna dare atto a Oliviero Mazza di aver preso sul serio l’impegno ad animare il dibattito attorno alla giustizia riparativa, salutata sin dalla scorsa estate dalle pagine di questo giornale con giudizi lapidari, che le vacanze non hanno mutato.

L’oggetto della riflessione viene suggestivamente alterato dall’Autore in modo che i suoi pre- giudizi critici fondati su una rappresentazione ideologica possano risultare retoricamente efficaci e persuasivi. Viene in mente un libro (Eager, Magia… che Mania) che racconta come, nella letteratura streghesca, un magico rituale finirebbe per sprigionare da un pozzo una forza misteriosa che fa apparire cose invisibili, scomparire quelle visibili, rendendo le persone irriconoscibili.

Ecco, partiamo da qui: la giustizia riparativa non c’entra nulla con quel mostruoso dispositivo autoritario affidato a un “mediatore metà parroco e metà psicologo”. Si tratta di un paradigma complementare e non certo alternativo al diritto penale e alle sue garanzie, che è sorto come un fatto sociale per rispondere alle insufficienze e alla crisi profonda della giustizia tradizionale. Nel nostro sistema è evidente che tanto il processo, quanto la pena non riescono a mantenere le promesse costituzionali degli artt. 2, 3 e 27 della Costituzione. Il d.lgs. 150/2022 ha codificato questo paradigma proprio con l’obiettivo di assicurare un rapporto di complementarità e di distinguere nettamente i due mondi, in ottica garantistica.

Il programma di giustizia riparativa non viene assolutamente configurato come “un accertamento parallelo privo di qualsivoglia garanzia, a partire dall’inaccettabile esclusione del difensore”, né si richiede una “confessione” all’imputato; tanto meno si configura come un “sistema vittimocentrico”. L’invio da parte dell’autorità giudiziaria rappresenta una semplice autorizzazione a iniziare un programma; nessuna forzatura verso “una riparazione etica”.

È diverso l’oggetto del programma di giustizia riparativa rispetto al processo; diverso è lo scopo; diversi sono gli attori. Si tratta di un percorso dialogico condotto da un mediatore che prende le mosse non dalla responsabilità penale ma da un fatto nudo, a prescindere dalla sua corrispondenza rispetto alla condotta di reato; si muove e si concentra sul conflitto e non si applica alcun trattamento sanzionatorio; lo scopo è mettere i protagonisti della vicenda nelle condizioni di guardarsi negli occhi per entrare in relazione e ricucire lo strappo, restituendo dignità all’altro. Nella conca della mediazione il difensore non ha alcun ruolo semplicemente perché non si parla il linguaggio tecnico del diritto penale (e non si accerta un reato), ma quello delle emozioni sprigionate dal conflitto. Quello che le persone si dicono non deve confluire nel procedimento ordinario e vi sono diverse paratie per assicurare l’impermeabilità.

Questo il sistema delineato dal legislatore (e non dai protocolli). La proposta di gettarlo nel cestino prima ancora che si parta appare nulla più che una provocazione. Occorre invece completare la più ambiziosa riforma realizzata nell’ambito penale: mettendo all’opera la Conferenza nazionale per la giustizia riparativa (nella quale il ministro Nordio ha nominato due insigni professori e avvocati, Vittorio Manes e Nicola Mazzacuva) e accelerando sull’istituzione dei centri per la giustizia riparativa e sulla formazione dei mediatori esperti. Tanti avvocati, infatti, si stanno rendendo conto delle potenzialità di questo paradigma per superare le storture quotidiane (dentro e fuori dall’aula), secondo le quali un reato è per sempre, 30 anni non bastano, buttiamo la chiave. Per superare la leva incapacitante del diritto penale, delle ostatività, delle preclusioni, la scommessa della giustizia riparativa andrebbe sostenuta con forza.

Come dimostra la recentissima vicenda di Busto Arsizio, sulla quale per rispetto delle parti coinvolte non intendiamo formulare alcun giudizio, ma che consegna il dato di un’istanza (un bisogno) avanzata da un imputato, condannato, raccolta da un giudice, per un percorso che forse (forse) potrà aiutare qualcuno (l’istante, un’altra vittima, la comunità).

*Ordinario di Diritto Processuale Penale

**Avvocato