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di Domenico Quirico

La Stampa, 31 luglio 2023

Orrore: a Ouagadougou, Dakar, Bangui, N’Djamena, Bamako, Goma, e adesso anche a Niamey (dove i golpisti si sono impadroniti di un altro Palazzo che credevamo fedelissimo) ci sono folle africane che vanno in piazza con le bandiere russe, inneggiano a Putin, invocano la Wagner e invitano in cartelli di chirologica perentorietà francesi e occidentali ad andarsene a casa. E poi: presidenti e ministri di quell’Africa così obbediente e ossequiosa vanno e vengono da Mosca, capitale dell’anticristo, commettono allegramente peccato mortale con Putin nonostante le esecrazioni e le scomuniche di Biden Macron Von der Leyen. Che succede? Dopo la Françafrique la Russiafrique?

L’Indigeno dell’altra sponda delude. avevamo deposto su di lui una pioggia di parole sapienti, di gravi benedizioni, di sentenze giudiziose e lui si fa imbambolare da un autocrate ciarlatano a cui è stato sequestrato il bancomat e che stiamo (senza dubbio!) sconfiggendo da ben un anno e mezzo!

Con spensierata miopia la nostra risorsa consolatrice di fronte a questo scandalo è: le plebi africane son pecore ligie le cui convinzioni si comprano, pezzenti che si vendono per quattro rubli distribuiti dalla Wagner, un ibrido di servilità e di codardia ostaggio della propaganda moscovita. Rieccolo! L’indispettito esotismo di bassa lega, le muffe antropologicamente razziste e (post)coloniali alla Rhodes e alla Lyautey: gli africani sono arretrati, un formicolio vibrionico di emozioni elementari e violente, non sono in grado di capire la perfezione delle democrazie occidentali. Gli slogan dell’autocrate russo, e cinese, attecchiscono dunque perché sono all’altezza delle loro rozze abitudini ancestrali. L’africano è tollerato solo a condizione che non ci contraddica, deve indossare la livrea. E può essere solo il sottomesso o il complice.

Ben lo sintetizzò lo sciagurato balbettio del lillipuziano ministro degli esteri dell’Unione Joseph Borrell: l’Europa è un giardino, il resto del mondo una giungla. Sorprendersi che gli abitanti della giungla non abbiano per noi una grande passione e che non abbiano dimenticato lo strato dei vizi coloniali sa più di rito espiatorio che di intelligenza. Non tolleriamo che la nostra età dell’oro sia già corrotta e che possano sulla terra esistere altri sfruttatori al di fuori di noi.

Insomma. Noi occidentali abbiamo paura della Russia che ha aggredito l’Ucraina. Per questo aiutiamo Kiev. Gli africani no. La guerra in Ucraina non li indigna perché è collegata a valori, la libertà degli Stati, il diritto internazionale che ai loro danni sono stati violati innumerevoli volte e proprio da coloro che oggi dichiarano di difenderli a tutti i costi. Ma in Europa. La Russia non è una minaccia per la maggioranza degli africani, anzi è un utile carta da giocare contro gli occidentali che ogni giorno vogliono infligger loro arroganti lezioni su economia, politica, abitudini, costumi.

Siamo sinceri. In Africa il nostro biglietto da visita non è la democrazia, è il capitalismo clientelare a cui abbiamo convertito con grande entusiasmo reciproco le cricche presidenziali e le loro fetide clientele. Così la propaganda russa può dire che la guerra in Ucraina non è che un capitolo della aggressione occidentale che tutto vuole dominare e possedere. E può citare senza arrossire Fanon: mezzo secolo dopo le accuse del profeta dei dannati della terra la lotta post-coloniale è diventata una battaglia globale, Russia e Sud del mondo ancora una volta uniti nella lotta all’esorbitante monopolio dell’Occidente.

Dovremmo coltivare un dubbio: negli angoli più sordidi della fabbrica del mondo i nostri perfetti soci d’affari, cleptocrati padri del popolo in boubou, uniforme e doppiopetto, non hanno per caso deciso di percorrere strade secondarie dell’economia globalizzata? Il governo dei ladri, di cui siamo soci e padrini, vuole fare affari con chi vende, o regala, armi, grano, concimi senza impartire ipocrite lezioni di bon ton democratico e green.

Non abbiamo ancora ben compreso la complessità e la efficacia dei maneggi della Wagner, le astuzie volpine del meccanismo messo in piedi dall’ex venditore di hot-dog. La Wagner è molto di più che alcune migliaia di energumeni, peraltro in nulla dissimili dai mercenari della americana Blackwater, e un pugno di geologi e ingegneri specializzati nello spillare concessioni minerarie. La Wagner ha realizzato in Africa una efficace strategia di influenza “low cost”, sfruttando tutte le porcherie, la disperazione e il malaffare che noi abbiamo consentito e talora promosso. L’uditorio da convertire con una spregiudicata propaganda era la gioventù del continente, confusa, povera da sempre ma con la disperante sensazione di esserlo sempre di più, pronta a rischiare la vita sulle strade della migrazione. E a incendiarsi ad ogni voce complottistica, a reagire alle vene di razzismo e xenofobia che percorrono l’Occidente delle città felici impaurite dall’invasione.

In questo universo di vittime e di vampiri la propaganda russa ci ha sconfitto proprio sul campo di battaglia in cui pensiamo di esser padroni, la comunicazione. Questo braccio della Wagner sostiene media africani, come la radio “Lengo sogo” in Centrafrica, pubblica manuali scolastici, sponsorizza festival cinematografici e concorsi di bellezza, finanzia giornali e giornalisti che diffondono le parole d’ordine della lotta contro l’imperialismo dei ricchi. Una offensiva a costo basso visto che un articolo è pagato da queste parti 10 mila franchi Cfa, quindici euro.

Gli danno volto e notorietà star della società civile e influencer con centinaia di migliaia di follower. Come lo svizzero-camerunense Nathalie Jam detta la “signora di Soci”, perché protagonista al summit russo africano del 2019 che inaugurò la grande offensiva di Putin verso il continente. E poi la Russia, che vanta una innocenza coloniale come la Cina, che al congresso di Berlino dove venne spartito il continente era solo osservatrice, per molti africani si confonde, mirabile cortocircuito, con l’Unione sovietica che fu alleata delle lotte di liberazione, la gloriosa e eterna primavera del kalashnikov arma rivoluzionaria