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di Ludovico Collo*

Corriere della Sera, 5 dicembre 2023

Gentilissima Elisabetta Soglio, scrivo con penna, carta, busta e francobollo non per snobismo epistolare dal sapore vintage, ma perché è il mio unico mezzo di comunicazione: sono infatti forzatamente ospite delle patrie galere da quasi un anno e mezzo. Ho 57 anni, due figli, di 26 e 3o, che vivono a Milano. Esercito la professione di ragioniere commercialista e revisore legale da oltre 35 anni e - pur lavorando con imprese di tutta Italia - non ho mai abbandonato la mia Palermo. Da libero osservatore privilegiato di un mondo a me sconosciuto fino a ieri, mi rendo conto di quanto siano distanti le carceri dai pensieri dei cittadini liberi.

Sin dalle prime settimane della mia detenzione ho scoperto di avere un “lato onlus”: mi impegno quotidianamente per supportare i compagni di sventura in svariate attività ove è necessaria una minima conoscenza giuridica di base, che possiedo, e che metto a disposizione degli altri: una differenza che non trasformo in indifferenza, cosa purtroppo molto diffusa.

Grazie al carcere quindi ho conosciuto - a ben 57 anni, non è mai troppo tardi - un nuovo spazio di me stesso: aiutare gli altri. Ho anche avuto la possibilità di conoscere le attività del Terzo settore per il mondo penitenziario: ammirevole il quotidiano impegno degli operatori delle organizzazioni che si dedicano, tra mille ostacoli, a un mondo costruito dalla fragilità: grazie agli operatori si continua a provare ad avere speranza e prospettiva.

Il Terzo settore pone in essere ciò che lo Stato non fa. Aggiungo che in alcune realtà esiste una certa ritrosia da parte dell’Amministrazione penitenziaria: si vive nel regno dell’opacità e della segretezza, è scomodo avere “estranei” dentro. Sarebbe auspicabile, anziché ostacolare e complicare le cose, effettuare una vera attività di programmazione con l’Amministrazione Penitenziaria da parte degli organismi del Terzo settore, finalizzata al coordinamento di azioni sul territorio per non disperdere risorse sia umane sia finanziarie.

Al termine di questa mia esperienza ho deciso che sul mio biglietto da visita farò seguire il mio nome e cognome dalla dicitura “ex detenuto”: desidero infatti mettere a disposizione del mondo penitenziario la mia competenza da carcerato vero e reale. Mi farò promotore di un soggetto del Terzo settore che avrà come scopo principale la diffusione della conoscenza del mondo delle carceri nei confronti dei cittadini (ancora) liberi.

Fornire più spazio e attenzione - senza pregiudizio - alla vera funzione rieducativa che dovrebbe avere il carcere, un luogo che è parte delle fondamenta di uno Stato di diritto. Sarebbe un forte segnale di civiltà. Non dimentichiamo che il carcere dovrebbe essere costruito con la medesima materia prima che fonda la nostra Repubblica: la Costituzione.

Conoscere di più farebbe bene a tutti: guardie, ladri e cittadini liberi. Un caro saluto dal posto di vedetta realizzato, con fatica quotidiana, sul muro di confine della comfort zone che mi sono auto-costruito nel regno dello sconforto.

*Detenuto del carcere di Caltanissetta

Risponde Elisabetta Soglio

Gentile signor Collo, la ringrazio per questa testimonianza (e che emozione leggere una lettera scritta a mano!) che insiste su un tema molto caro a BN, quello delle carceri. Lei ci conferma l’importanza del lavoro di tante realtà del Terzo settore, impegnate a mettere in pratica quanto prevede la nostra Costituzione, all’articolo 27, quando si dice che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”. Molti studi ci hanno mostrato che la recidiva si abbatte nel caso di detenuti cui è stata offerta la possibilità di studiare, avviarsi ad un lavoro, svolgere attività ricreative e, come nel suo caso, solidali. Aspettiamo dunque di sapere della sua nuova attività a fianco del Terzo settore e di ricevere il suo biglietto da visita.