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di Antonello Guerrera

La Repubblica, 5 giugno 2023

Nell’anniversario della strage del 1989 arrestati dirigenti e attivisti dell’opposizione. Alexandra Wong, anzi Nonna Wong come affettuosamente ribattezzata, porta un mazzo di garofani, rose e gigli nei pressi di Victoria Park, dove per decenni a Hong Kong si sono tenute le manifestazioni in ricordo del massacro di centinaia di studenti e attivisti democratici a piazza Tiananmen a Pechino, il 4 giugno 1989. Vietato. La polizia locale, in allerta da giorni, si porta via la 67enne Wong, già arrestata nel 2019 per aver sventolato una bandiera britannica contro le nuove leggi liberticide di Pechino e poi scomparsa per oltre un anno tra carceri cinesi, deportazioni e “corsi di rieducazione”.

Oltre a Nonna Wong, gli agenti di Hong Kong hanno fermato almeno altre 12 persone per “sedizione” e “pericolo pubblico”, secondo la Bbc: Chan Po Ying, veterana attivista per la democrazia a capo della Lega dei socialdemocratici, anche lei per due fiori. Mak Yin Ting, ex capo della Hong Kong Journalists Association. Poi un uomo con in mano una copia di “35th of May”, una rappresentazione teatrale sulla strage di Tiananmen. Una donna vestita di giallo, colore oramai proibito perché quello della “rivoluzione degli ombrelli” del 2014. Un anziano con una candela al Led, come quelle delle manifestazioni pro libertà e anti Pechino. Un vecchio senza nome, anonimo come il “tank man”, il leggendario uomo con le buste della spesa contro i carri armati del regime cinese 34 anni fa, di cui non si è saputo mai più nulla.

Eppure la Cina aveva promesso a Londra di rispettare il teorema “un Paese, due sistemi”, ovvero la democrazia e la libertà di Hong Kong, almeno fino al 2047, dopo il passaggio dell’ex colonia britannica a Pechino nel 1997. Menzogne. Tre anni fa la Cina ha imposto su Hong Kong una nuova legge “sulla sicurezza nazionale” che soffoca ogni dissenso contro il partito comunista e il regime cinese, tanto che Londra ha iniziato a rilasciare visti facili per coloro che vogliono riparare nel Regno Unito. L’anno scorso è stata rimossa dall’università di Hong Kong la statua “Pillar of Shame” in ricordo delle centinaia, o forse migliaia di vittime del 4 giugno 1989.

Oggi, invece, 6mila poliziotti hanno perquisito preventivamente cittadini e giornalisti in tutti i punti nevralgici della città. Le librerie sono state ripulite da ogni libro su Tiananmen. “Il regime vuole che dimentichiamo”, ha detto alla Reuters un residente, Chris To, 51 anni, arrivato a Victoria Park in t-shirt nera, “ma non possiamo dimenticare... è la Cina che vuole cancellare la Storia. Dobbiamo usare i nostri corpi e parole per far sapere cosa sta succedendo qui”. Chow Hang-tung, attivista del movimento The Alliance, ha annunciato su Facebook uno sciopero della fame di 34 ore.

Brandelli di resistenza. Poche stelle in un cielo sempre più tenebroso sopra Hong Kong, da quando nel 2020 è iniziata la stretta liberticida. Molti giovani e attivisti sono fuggiti, partiti e sindacati sono stati sciolti. Mentre a Tiananmen oggi è stato un giorno come gli altri. Il massacro del 1989 e la democrazia di Hong Kong si ricordano altrove: oltre trenta città in Europa, Nordamerica e Australia. E poi ovviamente Taipei, a Taiwan, che ora teme di subire lo stesso destino. Oggi in centinaia si sono riuniti nella “Piazza della Libertà” della capitale. Il vicepresidente William Lai ha detto: “Democrazia contro autoritarismo: ecco la differenza tra Taiwan e la Cina”. Chissà per quanto.