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di Josephine Carinci

ilsussidiario.net, 19 febbraio 2024

Da quindici anni Suor Anna Donelli è volontaria nel carcere di San Vittore a Milano, dove si dedica ad aiutare chiunque le chieda qualcosa “senza differenze di età, di provenienza, di cultura e religione”, spiega. “Il mio incontro è con la persona, non con l’autore di questo o quel reato. Parto dalla consapevolezza che ogni persona sia sempre di più di qualsiasi fatto commesso. All’interno di questa relazione di fiducia si può parlare in modo costruttivo, da compagna di viaggio, sperimento i piccoli salti di qualità e i cambiamenti di vita profondi, perché raggiunti con tanta fatica e pochi aiuti, ma ad un certo punto riusciti”.

Nel corso di questi anni la suora si è trovata a lavorare spesso con persone dai 18 ai 25-30 anni con disagio psichico. “Entrambi sono aumentati in maniera esponenziale da qualche anno e ciò a cui assisto quotidianamente è una enorme fragilità, che sempre più spesso sfocia nel farsi del male, fino a togliersi la vita. Per questo non mi sorprende il drammatico dato che ho letto sui giornali di 17 suicidi in carcere da inizio anno, quasi uno ogni due giorni” spiega sulle pagine di “Domani”. In carcere entra sempre più il disagio sociale che aumenta con l’emarginazione che la vita da galeotti impone. “Questo mi porta a chiedermi se, forse, non si stia in realtà criminalizzando la povertà e i malati psichici o psichiatrici, prima ancora dei reati commessi” spiega Suor Donelli.

La denuncia di Suor Donelli sulle pagine di “Domani” prosegue con una fotografia tragica di quella che è diventata la vita in carcere: “Quello a cui assisto ogni giorno sono sezioni e celle diventate invivibili, dove aumentano le reazioni di rabbia che portano ad aggressioni tra gli stessi reclusi e verso gli agenti di polizia penitenziaria. Il sovraffollamento e il regime chiuso agevolano esasperazione, la depressione aumenta in celle piccolissime dove i detenuti devono fare a turno per alzarsi o per mangiare e dove non possono neanche sgranchirsi le gambe. Dove manca qualsiasi senso di dignità”. A chi parla dell’aumento degli spazi e dei posti in carcere, la religiosa risponde con una domanda: “Ma se una di quelle persone detenute con problemi psichici fosse mio figlio, mia madre, mio padre, non vorrei che fosse prima di tutto curato? Invece, non ho sentito dire con la stessa forza che si sta pensando ad aumentare o a creare nuove strutture di cura”.

Secondo Suor Donelli “servirebbe un cambiamento di mentalità con cui si pensa prima di tutto a questi detenuti”. Tantissime, infatti, le persone “con disagio psichico e la loro prima esigenza è quella di un sostegno. Nelle strutture, però, gli psicologi e gli psichiatri sono sempre pochi e si devono “fare in mille” perché ogni giorno ci sono emergenze da contenere, equilibri da salvare nelle convivenze di cella. Eppure, forse per un eccesso di umanità e zelo del proprio lavoro, si ritrovano a vivere situazioni avverse e spiacevolissime, come nel caso di due psicologhe di San Vittore, coinvolte in una indagine giudiziaria in seguito alle attenzioni prestate alla situazione di una detenuta”. Il carico per ognuno di loro è eccessivo ed è lacerante, secondo Suor Anna, trovarsi davanti gli occhi smarriti e depressi dei detenuti che ripetono: “Non ce la faccio più a stare 22 ore in cella tutti i giorni”.