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di Anna Catalano e Chiara Gargioli

Donna Moderna, 2 agosto 2023

Un’infanzia dietro le sbarre insieme alle madri detenute. La racconta una fotografa che lancia l’appello perché ai bambini venga restituito il diritto di essere liberi. “Per gli errori dei genitori non devono pagare i bambini”. È netta la posizione di nonna Marta, nome di fantasia, che vive con i nipoti mentre la figlia sta scontando la sua pena. “Gli Icam (Istituti di custodia attenuata per le detenute madri) non sono una casa. Mia nipote ha vissuto 3 anni con la mamma e mi aspettava guardando dalla finestra della sua stanza che aveva le sbarre, perché un Icam è un carcere, dove si è controllati e a volte anche perquisiti. Le sembra comparabile ai posti dove crescono i bambini che non hanno genitori detenuti?”.

Bambini figli di detenuti: i dati e il codice penale - Secondo i dati del ministero della Giustizia, al 31 marzo 2023, sono 28 i bambini che vivono in carcere insieme alle loro mamme, che sono 25 in tutto. Dati in aumento rispetto a gennaio, quando i bambini erano 17 e le mamme 15. Ma partiamo dalla legge e da quell’art. 146 del Codice penale che regolamenta la questione delle detenute madri e dei minori prevedendo il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne incinte, per le madri che hanno un figlio di età inferiore a 1 anno, e per coloro che sono affetti da Aids conclamato o da altra malattia grave.

Nel 1975 arriva la legge 354: l’articolo 11 prevede che le detenute madri possano tenere con loro, quindi in carcere, i figli fino a 3 anni. Poi nel 2011, un altro passaggio: la legge 62 modifica la precedente prevedendo che alle madri con figli di età non superiore ai 6 anni, conviventi, non venga applicata la custodia cautelare in carcere, salvo esigenze di eccezionale rilevanza. E aggiunge che il giudice possa disporre la custodia presso un Icam. Dunque, l’Icam aspira a essere un ambiente più accogliente per i bambini cercando, in questo modo, di evitare loro traumi importanti negli anni più cruciali della crescita.

Una realtà di discriminazioni e solitudine - Ma è davvero così? Stando alle parole di nonna Marta, no: “Si tratta di grand hotel per chi non ha nulla fuori, ma per gli altri, per chi ha una casa e una famiglia, sono in tutto e per tutto una galera”. Carla Garlatti, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza nonché firmataria della “Carta dei diritti, dei figli e dei genitori detenuti”, ricorda: “L’articolo 3 della nostra Costituzione recita il diritto di eguaglianza: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”. E secondo voi i bambini che crescono in carcere e quelli che crescono in una casa sono uguali? Nel nostro Paese si prendono scelte “adultocentriche”. Nel caso specifico, si pensa che chi deve scontare la pena debba stare in carcere e quindi i diritti dei bambini figli di detenuti diventano secondari”. In molte carceri oggi esistono le sezioni nido, luoghi appositi per le mamme con bimbi che non hanno raggiunto i 3 anni, di solito dotati di una cucina in comune, se possibile al piano terra, vicino a degli spazi verdi, per consentire ai piccoli di giocare all’aperto.

Non tutti gli istituti sono uguali - Ma i bambini detenuti all’interno del carcere sono di fatto privati della completa libertà. In Italia gli Icam sono 5: Milano (San Vittore) Venezia (Giudecca), Torino (Lorusso-Cutugno), Avellino (Lauro), e Cagliari (Senorbì), quest’ultimo però non è stato mai utilizzato. Quello di Milano è stato aperto nel 2006, come sezione nido distaccata del carcere di San Vittore, e sorge in una sede, esterna all’istituto penitenziario con sistemi di sicurezza diversi da quelli di un carcere.

“Per noi la prima cosa è l’attenzione al bambino, che deve vivere il più possibile fuori dal carcere. Nel nostro Icam le sbarre e i cancelli presenti, sono simili a quelli di tanti condomini”. A parlare è Marianna Grimaldi, funzionario giuridico e pedagogico del ministero della Giustizia e coordinatrice dello staff socio-educativo dell’Icam di Milano. “Siamo nati in tempi in cui tutto era più possibile. Non siamo i migliori, siamo stati solo più fortunati perché abbiamo potuto sperimentare, grazie anche alla realtà territoriale che ha accolto questa sfida. La nostra struttura opera su due sistemi binari: quello del bambino, di cui è responsabile il Comune di Milano, e quello della mamma, di cui è responsabile il ministero di Giustizia. L’Icam non è il paradiso. Le nostre detenute devono lavorare, assumersi la responsabilità di crescere i loro figli, di nutrirli, pulirli, e, quando necessario e concesso, anche di accompagnarli a scuola”.

L’importanza dell’integrazione - Uno dei punti cruciali degli Icam è che ciascuno dipende dalla territorialità in cui si trova. Ci sono linee guida generali, ma ogni istituto stabilisce un regolamento interno, che può essere molto diverso da quello degli altri. “Quando mia nipote abitava con la mamma a Lauro, era la prima a essere presa con il pulmino e l’ultima a essere lasciata al ritorno per evitare che gli altri bambini vedessero dove viveva. Il primo giorno di scuola, quando le maestre le hanno chiesto di presentarsi e rispondere alla domanda “Da dove vieni?”, lei ha detto: “Dal carcere”, come a togliersi un peso e poi, tornata a stare con me, non ha mai più voluto parlare dell’Icam”.

Nonna Marta è addolorata, perché lo stigma del carcere è quello che più grava sui suoi nipoti. “La mia è una famiglia perbene eppure a mio nipote hanno detto che è un ragazzo abbandonato e lui ci è rimasto malissimo”. Uno stigma che potrebbe essere abbattuto facilmente come è successo a Milano, nella zona dove è sorto l’Icam. “Tutto il quartiere ha accolto questi bambini” spiega Grimaldi. “E, grazie all’interessamento del Comune, abbiamo 4 educatori che quotidianamente supportano le mamme nel loro ruolo genitoriale se ne hanno bisogno. Qui i bambini non nascondono da dove vengono, perché gli abbiamo insegnato che non hanno colpe. Le donne possono partecipare, alle recite di Natale e di fine anno e vengono accolte dalle altre mamme senza pregiudizio”.

Un’alternativa: le case famiglia protette - Al centro del dibattito politico adesso ci sono le case famiglia protette. A oggi sono due: quella milanese gestita dall’Associazione C.I.A.O. e quella romana “Casa di Leda”, gestita da una cooperativa e varie associazioni. Si tratta di abitazioni private in cui una madre detenuta, con figlio minore di 6 anni e senza un’abitazione propria, può vivere agli arresti domiciliari durante il processo o scontare la pena a seguito di una condanna, così come previsto dalla legge 62/2011. Un disegno di legge presentato dall’ex deputato Pd Paolo Siani puntava a potenziare il ricorso a queste case famiglia protette. Proponeva l’abrogazione della disposizione in base alla quale debbano essere istituite “senza oneri per lo Stato”, perché questa è una limitazione che ha impedito la loro diffusione in tutto il Paese e ha quindi contribuito alla presenza di bambini detenuti. “Nel 2020 feci approvare l’emendamento alla Legge di Bilancio. Prevedeva 1 milione e mezzo ogni anno per 3 anni su territorio nazionale” racconta lo stesso Siani. Il decreto è stato largamente votato nel maggio 2021, ma il 23 marzo di quest’anno è stato ritirato perché gli emendamenti avanzati dalla maggioranza lo avrebbero snaturato in modo evidente.

Un futuro che preoccupa - “La mancata approvazione del disegno di legge Siani è stata un’occasione persa. Ciò che più mi spaventa è che i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza siano strumentalizzati dallo scontro politico tra partiti contrapposti” commenta Carla Garlatti. “Occorre pensare alla sostanza dei problemi e considerare i diritti un argomento trasversale che vada oltre gli schieramenti”.

Come dire che al centro dovrebbero esserci soltanto i minori e quello che è giusto garantire per loro e per la loro crescita. Al momento non è così, dato che la Lega ha presentato un nuovo testo per cancellare il differimento automatico della pena per le donne incinte e con i figli di età inferiore a 1 anno. Sugli scenari futuri Paolo Siani ha le idee chiare: “Se venisse approvato, sarebbe gravissimo. Bisogna mantenere alta l’attenzione con iniziative come la mostra “Senza Colpe” della fotografa Anna Catalano. Ha documentato egregiamente la vita dei bambini che vivono negli Icam e la porteremo dovunque ci sarà possibile. Solo con la consapevolezza delle persone, possiamo sperare che la politica prenda in considerazione, l’esigenza di una giusta legge”.

La Mostra - “Senza Colpe” racconta, attraverso le foto scattate negli appartamenti in cui alloggiano, la vita dei bambini che in Italia vivono con le proprie mamme negli Icam (Istituti a carcerazione attenuata per madri). Autrice è la fotografa Anna Catalano. La mostra è già stata presentata in varie città e sarà esposta in autunno al Palazzo della Provincia di Prato (per informazioni, annacatalanofoto.com).

Il Film - Arriva dal 24 agosto sul grande schermo “La lunga corsa”, un film di Andrea Magnani, con Adriano Tardiolo, Giovanni Calcagno, Barbora Bobulova e Nina Naboka. È la storia - a tratti divertente e surreale - di Giacinto: figlio di due detenuti, dentro al carcere è nato e cresciuto. A 18 anni, quando dovrebbe sperimentare la libertà di “volare via” scopre quanto, con il suo passato, sia difficile avere ali attrezzate per farlo.