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di Eleonora Martini

Il Manifesto, 11 ottobre 2023

Al vaglio l’aggravante per gli omicidi parentali, il governo si oppone. Dopo l’udienza pubblica di ieri, la Corte costituzionale deciderà nei prossimi giorni sulla questione di legittimità, sollevata da due tribunali, della norma chiamata “Codice Rosso”, introdotta nel 2019 per punire più severamente gli omicidi commessi all’interno della famiglia, sull’onda della cronaca quasi giornaliera dei cosiddetti “femminicidi”.

Ora però al vaglio della Consulta sono arrivati tre ricorsi. Quello presentato nel novembre 2022 dalla Corte d’Assise di Cagliari sul caso di un uomo di 67 anni, R. P., che ha ucciso la moglie alcolizzata e sofferente di disturbo bipolare che negli anni aveva messo in atto comportamenti autolesionistici e aggressivi verso lo stesso marito, la figlia e il nipotino. E altri due atti promossi nel maggio scorso dalla Corte d’Assise d’Appello di Torino.

Il primo riguarda il caso di Alex Pompa che il 30 aprile 2020, allora 18enne, a Collegno (Torino) uccise a coltellate il padre mentre aggrediva violentemente la madre per l’ennesima volta. Il secondo atto di promovimento è relativo al caso di Agostina Barbieri, che nel 2021, a Borghetto di Borbera (Alessandria), strangolò il marito dopo essere stata ancora una volta malmenata dall’uomo. Sia i giudici cagliaritani che quelli torinesi sollevano una questione di costituzionalità sulla norma contenuta nella legge 69/2019 che preclude di applicare le attenuanti generiche - per le difficili condizioni vissute o per le provocazioni subite - rispetto all’aggravante prevista per gli omicidi volontari aggravati dal vincolo di parentela.

Come esposto ieri in udienza pubblica al Palazzo della Consulta dal giudice relatore Francesco Viganò, nel caso del 67enne di Cagliari, in base al Codice Rosso (nuovo articolo 577 del codice penale), i giudici si vedono costretti ad escludere ogni circostanza attenuante ed infliggere all’uomo, “attualmente sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere”, una pena non inferiore ai 21 anni di reclusione.

E così, anche per il 18enne di Collegno, imputato per l’omicidio del padre violento ma assolto in primo grado perché il suo gesto era stato considerato “legittima difesa”, la Corte d’Assise d’Appello si è rivolta ai giudici costituzionali prima di decidere sulla pena minima di 14 anni di reclusione richiesta dal Pg Alessandro Aghemo, che ha ritenuto “di dovere affermare la responsabilità dell’imputato per omicidio volontario, non reputando ravvisabile, contrariamente al primo giudice e come sarà meglio chiarito nella sede di merito, un’ipotesi di legittima difesa reale o putativa”.

Quattordici sono anche gli anni di carcere richiesti per la signora di Borghetto Borbera che, stanca di subire continui maltrattamenti insieme ad altri famigliari, somministrò al marito - dichiarato sofferente di disturbi psichici - “un’intera boccetta di sonnifero (Lormetazepam gocce) e quindi strangolandolo con un laccio per scarpe, ne cagionava la morte”, come si legge nell’Ordinanza 88 del 10 maggio 2023. Riconosciutele le attenuanti generiche, la donna venne condannata in primo grado a anni 4 e mesi 10 di reclusione.

Dal canto suo, il governo si è opposto alla censura del Codice Rosso perché, secondo l’avvocato generale dello Stato Salvatore Faraci, “per il presidente del Consiglio il Parlamento ha esercitato la sua discrezionalità nel regolamentare il reato che l’ordinamento considera più grave dopo la strage” di donne che tuttora si consuma. Palazzo Chigi, insomma, con la richiesta di dichiarare infondate le eccezioni di incostituzionalità, ha accusato i giudici di voler interferire con le scelte del legislatore.