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di Marco Boccitto

Il Manifesto, 3 agosto 2023

La Cedeao tratta e allo stesso tempo pianifica l’intervento armato. A Niamey la giunta riapre le frontiere con i paesi vicini e invia una delegazione in Mali e Burkina per rafforzare il blocco regionale ribelle. Preceduta dall’esplicita minaccia di intervento armato nel caso in cui la giunta militare che ha preso il potere in Niger non ci ripensi, la Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale (Cedeao) è tornata ieri a Niamey con una delegazione guidata dall’ex presidente nigeriano Abdulsalami Abubakaruna. A tre soli giorni dalla scadenza dell’ultimatum lanciato dopo il colpo di mano che ha di fatto destituito il presidente Mohamed Bazoum, si tratta di saggiare le intenzioni dei militari.

Protagonismo inedito, questo dell’organismo che unisce gli stati della regione, abbastanza muscolare da permettere agli Usa e ai paesi europei più coinvolti, ovvero più irritati e preoccupati per la piega che hanno preso gli avvenimenti, di limitarsi in questa fase a bloccare gli aiuti e a organizzare l’evacuazione su base volontaria dei propri cittadini. I primi voli ieri hanno riportato a Parigi circa metà dei 1200 francesi presenti in Niger, mentre in Italia un centinaio di persone, italiane non, sono state accolte dal ministro Tajani ai piedi della scaletta. I 1500 soldati francesi e i 350 italiani restano dove sono.

Oltre ad autorizzare i rientri, il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp) ieri ha riaperto le frontiere terrestri con Algeria, Libia, Ciad, Burkina Faso e Mali: paesi vicini che hanno criticato, seppur con toni diversi, la prospettiva di un intervento armato esterno. Mali e Burkina Faso in particolare, insieme alla Guinea-Conakry, hanno garantito che reagiranno anche militarmente al fianco dei nigerini, in caso di blitz o invasioni.

Il generale Abdourahamane Tchiani, capo della giunta militare o del Cnsp che dir si voglia, ha subito inviato una missione in Mali che poi dovrebbe recarsi anche in Burkina. Si tratta di consolidare un blocco regionale ribelle, che non vuole più saperne dei paesi occidentali e guarda semmai con un certo favore alla Russia, a un Putin che non per niente ha cercato di esibire anche nel recente summit Russia-Africa di San Pietroburgo una seducente veste anti-imperialista. “Problemi africani, soluzione africana”, è il principio richiamato ieri dal ministero degli Esteri di Mosca, che neanche a dirlo è favorevole alla pace, da ricercare nel dialogo nazionale.

Ieri si è parlato piuttosto di guerra a Abuja, capitale amministrativa della Nigeria, dove si sono riuniti i capi di Stato maggiore dei paesi della Cedeao. L’uso della forza resta “l’ultima opzione sul tavolo - ha detto Abdel-Fatau Musah, commissario per la pace e la sicurezza - ma dobbiamo prepararci all’eventualità. C’è bisogno di mostrare che oltre ad abbaiare possiamo mordere”. Sempre dalla Nigeria da ieri è partita infine un’ulteriore e non trascurabile forma di pressione, il taglio delle forniture elettriche garantite fin qui al vicino del nord dalla compagnia Nigelec. Una misura che ha avuto effetti immediati sull’erogazione dell’energia in diverse città nigerine.