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di Alessia Candito

La Repubblica, 29 giugno 2023

Lo rivela un rapporto Unicef. Nell’Isola il 4,58 per cento degli incidenti registrati riguarda ragazzini. In Sicilia quasi il 5 per cento dei lavoratori avrebbe età buona per stare sui banchi, ma fatica nei campi, nei ristoranti, nei cantieri. Inquadrati come dipendenti, operai agricoli o contrattati con voucher, i minori che lavorano sono un piccolo esercito che, fatta eccezione per gli anni del Covid, è cresciuto di poco, ma progressivamente. Formalmente, sono per lo più braccianti, statisticamente più maschi che femmine, ma nella realtà concreta sono probabilmente molti di più. I dati arrivano dall’Unicef, che nella giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile ha presentato il suo primo report statistico, realizzato in collaborazione con il “Laboratorio di Sanità Pubblica per l’analisi dei bisogni di Salute delle Comunità” della scuola Medica Salernitana. Ma - emerge in filigrana - i numeri sono approssimati per difetto.

A rivelarlo è quello, drammatico, relativo agli infortuni. Nell’Isola il 4,58 per cento degli incidenti registrati riguarda ragazzini, proiettando la Sicilia all’ottavo posto in Italia per numero di denunce. Statisticamente, anche maggiore a quello registrato fra gli adulti. In dettaglio, secondo i dati forniti da Unicef, il 22,7 per cento dei lavoratori minori ha subito un infortunio. In numeri assoluti, significa 5.222 fra i 15 e i 19 anni e 10.900 under quattordici. Quasi il doppio. Di base, sottolineano da Unicef, sarebbe illegale, almeno stando all’articolo 32 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

Per legge, l’ammissione al lavoro non può essere inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo, che in Italia corrisponde a 16 anni, 15 nei casi di alternanza scuola-lavoro. “Pertanto, le denunce di infortunio sul lavoro da parte di giovani di età pari o minore a 14 anni, che hanno quindi intrapreso attività lavorative almeno un anno prima dalla fine dell’obbligo scolastico, si configurano come infortuni avvenuti in attività lavorative non regolamentate da legittime forme contrattuali”. Traduzione: incidenti avvenuti a causa della “scarsa o mancata attenzione a procedure di sicurezza sul lavoro”, circostanza assai comune quando questo è irregolare o informale.

Ma nella Sicilia dei controlli impossibili per mancanza del personale che li esegua, mentre i protocolli che già da mesi avrebbero potuto portare rinforzi rimangono nei cassetti, è impossibile avere dati certi. “Per nostra esperienza - dice Tonino Russo, segretario regionale della Flai Cgil - soprattutto nel ragusano la situazione è drammatica”. Nelle serre sono centinaia i bambini e ragazzini costretti a lavorare insieme ai genitori, il più delle volte braccianti stranieri costretti a faticare giornate intere senza neanche uno straccio di contratto, o - nella migliore delle ipotesi - in forza di un pezzo di carta che in genere racconta assai meno delle reali ore da loro lavorate.

“Questi lavoratori vivono in casolari o ruderi diroccati nei pressi delle serre, lontani dai centri abitati, senza alcun mezzo di trasporto che consenta loro di raggiungerli”, spiega Russo. Risultato, per i figli niente scuole, né asili, meno che mai parchi gioco o svago. Li chiamano “orfani bianchi” e il più delle volte sono destinati a seguire il destino dei genitori, impiegati a schiena curva anche dieci ore al giorno e che spesso non hanno altra opzione se non portarli con sé. Facile, spiegano dal sindacato, che rapidamente vengano reclutati formalmente o informalmente.

Qualche mese fa, sulle loro condizioni ha acceso un faro “Save the children”, che ha chiesto un intervento integrato, che vada dal sostegno ai nuclei familiari disagiati ai servizi di collegamento che emancipino i lavoratori delle serre dalla dittatura dei “caporali del trasporto”, che per accompagnare i lavoratori stranieri pretendono cifre da capogiro. Unica soluzione per non condannare i figli alla strada di sfruttamento dei padri.