di Francesco Battistini
La Repubblica, 2 marzo 2023
Un’onda di razzismo contro i sub-sahariani sta cambiando la pelle del più progressista dei Paesi (ri)nati dalle Primavere arabe. I tassisti di Tunisi non caricano più l’uomo nero. E i proprietari non gli affittano casa. E i passeggeri di bus non lo vogliono di fianco. E i negozianti non gli vendono nulla. “Ci sono orde di subsahariani che minacciano la nostra identità!”, proclama il presidente Kais Saied, e servono misure urgenti: “Un complotto criminale di forze straniere ha l’oscuro obiettivo di favorire l’immigrazione illegale e di cambiare la nostra composizione demografica!”. Ci stanno trasformando in un mondo “puramente africano, senza legami con le nazioni arabe e islamiche”. E dunque, è ora che la Tunisia diventi come l’Alabama degli anni Trenta.
Un’onda di razzismo sta cambiando la pelle del più progressista dei Paesi (ri)nati dalle Primavere arabe. Addio alla Costituzione che levava l’hijab alle donne e spingeva i sindacati al Nobel per la Pace. A Tunisi, comanda un populista cesarista: ha sciolto il Parlamento, ne ha fatto votare un altro dall’11% degli elettori e da qualche giorno - per distrarre i tunisini dalla fame e magari ingraziarsi un po’ d’ultradestra europea spaventata dai barconi (puntuale, è giunto l’elogio dello xenofobo Eric Zemmour) -, ha scatenato la caccia ai 50mila neri, lo 0,5% della popolazione, colpevoli sia della fame che dei barconi.
Anche nel Maghreb, è sicuro Saied, i sub-sahariani sono lo strumento della Grande Sostituzione. E perciò, tutti a casa: le ambasciate di Costa d’Avorio, Guinea e Mali allestiscono dormitori d’emergenza e rimpatriano centinaia di sans-papier che hanno ormai paura di girare per le strade, d’essere malmenati, di ricevere multe da mille euro per l’irregolarità dei documenti. La paura dell’altro è una porta girevole, lo s’è visto già in Libia o in Egitto: c’è sempre qualcuno più meridionale di te da mettere alla porta. Anche i tunisini sono incitati a fare ai neri quel che non han mai voluto fosse fatto a loro. Pochi protestano, molti tacciono. E tanto per cambiare, noi fingiamo di non vedere.