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di Eleonora Martini

Il Manifesto, 29 dicembre 2023

Una sentenza del Tribunale di Milano, sezione Lavoro, impone all’Inps il pagamento. Il giudice inoltre apre la strada al riconoscimento della Naspi per i reclusi turnisti. Anche i detenuti che lavorano in carcere alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria al momento della loro liberazione hanno diritto all’indennità di disoccupazione. Lo ha stabilito un’importante sentenza del Tribunale di Milano, sezione Lavoro, pubblicata il 12 dicembre scorso. Il giudice Riccardo Atanasio che l’ha firmata ha accolto il ricorso giudiziario promosso dall’avvocata Silvia Gariboldi e da Inca Milano, e ha respinto le eccezioni sollevate dall’Inps condannando l’Istituto nazionale della previdenza sociale anche al pagamento delle spese legali. Con questa sentenza il tribunale ha aperto inoltre la strada per il riconoscimento della Naspi (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) anche ai detenuti che, pur rimanendo in carcere, perdono il posto di lavoro interno per via della turnazione prevista dal regolamento dell’amministrazione penitenziaria.

Il caso è quello di un detenuto presso la casa circondariale San Vittore di Milano che dal 17 settembre 2020 al 27 settembre 2021 ha lavorato tutti i giorni della settimana con un giorno di riposo infrasettimanale per il ministero della Giustizia, regolarmente retribuito e assicurato all’Inps. Per questo, quando il detenuto è stato scarcerato perché ammesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare aveva tutti i requisiti per il riconoscimento della Naspi, “vantando più di 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni” e “più di 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi antecedenti il periodo di disoccupazione”, come annota la sentenza.

Ma, come scrive il giudice Atanasio, “qualunque sia la ragione di quella disoccupazione involontaria - quale ad esempio la cessazione dello stato di detenzione del detenuto o invece l’avvicendamento al lavoro previsto da regolamenti penitenziari, al fine di consentire l’accesso all’attività lavorativa da parte di tutti - comunque si realizza quello stato di disoccupazione involontaria che giustifica la concessione della indennità”. E siccome, continua il giudice di Milano, la legge istitutiva della Naspi non esclude il riconoscimento dell’indennità ai detenuti, il Tribunale del lavoro evidenzia invece che la propria interpretazione della normativa “è coerente con l’obiettivo di rieducazione e di reinserimento sociale del detenuto che sono affermati dall’articolo 27 della Costituzione”.

Motivo per il quale, spiega la Cgil di Milano, “prossimamente ci troveremo ad affrontare in giudizio lo specifico tema del diritto alla Naspi con turnazione, visto che, grazie alla presenza a San Vittore e Bollate con lo sportello diritti abbiamo raccolto in questi mesi oltre 100 domande. Speriamo - conclude il comunicato sindacale - che Inps e Dap tornino rapidamente sui propri passi e riconoscano in automatico il diritto alla Naspi senza dover affrontare ogni volta il giudizio”.

Si unisce alla richiesta e all’auspicio anche il Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, secondo il quale “il mancato riconoscimento della indennità di disoccupazione ai detenuti che lavorano in carcere alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria non è solo una ingiustizia, che ha tentato di cancellare decenni di evoluzione del diritto penitenziario verso la piena equivalenza del lavoro dei detenuti al lavoro libero, ma costituisce anche la premessa dello stato di disperazione di migliaia di detenuti che un tempo potevano contare sulla indennità di disoccupazione nei periodi in cui dovevano cedere il lavoro ad altri perché tutti potessero guadagnarsi qualcosa da vivere in carcere”. Ora, conclude l’ex portavoce dei Garanti territoriali, “chi non ha una famiglia alle spalle dipende dal miserevole vitto che passa il convento, dalla carità altrui, se non da consorterie criminali attive fuori e dentro il carcere”.