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di Damiano Aliprandi


Il Dubbio, 25 settembre 2021

 

Allo stato attuale gli hotspot hanno un'incerta disciplina giuridica essendo regolati, nello

specifico, soltanto da un documento, le "procedure operative standard" (Sop), pubblicato dal ministero dell'Interno, finalizzato a illustrare le modalità di gestione delle procedure applicabili in questi luoghi.

Le linee guida operative prevedono che "... la persona può uscire dall'hotspot solo dopo essere stata foto- segnalata concordemente con quanto previsto dalle norme vigenti, se sono state completate tutte le verifiche di sicurezza nei database, nazionali ed internazionali, di polizia". La circolare del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione prot. n. 14106 del 6 ottobre 2015 - necessariamente rispettosa del dettato costituzionale- indica un arco temporale di 24/ 48 ore per lo svolgimento delle procedure presso gli hotspot.

Il Decreto legge n. 113 del 2018 (articolo 3) ha introdotto la possibilità di disporre il trattenimento dei richiedenti asilo in appositi locali degli hotspot per il tempo strettamente necessario, e comunque per un periodo massimo di 30 giorni, per la determinazione o la verifica dell'identità o della cittadinanza.

Al contempo il medesimo decreto ha disposto l'inserimento (entro l'articolo 7, comma 5, lettera e) del decreto- legge n. 146 del 2013) delle strutture degli appositi punti di crisi - individuati dall'articolo 10- ter, comma 1, del Testo unico sull'immigrazione quali centri di prima accoglienza - quali luogo in cui il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale possa condurre la verifica del rispetto degli adempimenti connessi a diritti dello straniero.

Secondo i dati resi noti nella Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza di stranieri nel territorio nazionale, riferita all'anno 2019 trasmessa a fine dicembre 2020 dal ministero dell'Interno al Parlamento (Doc. LI, n. 3), risultano attivi quattro hotspot ubicati a Lampedusa, Pozzallo, Messina e Taranto.

Nonostante la configurazione giuridica, ad avviso della Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza istituita alla Camera nella XVII legislatura, che ha approvato una Relazione sul sistema di identificazione e di prima accoglienza nell'ambito dei centri hotspot, l'applicazione presenta numerose criticità, a partire dalla insufficiente capacità di accoglienza dei centri rispetto al numero di persone che varcano illegalmente le frontiere nazionali. Ricordiamo che il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, in seguito alle criticità e violazioni segnalate da Asgi, A Buon Diritto Onlus e Cild, ha deciso di sottoporre l'Italia ulteriormente ad esame nel mese di dicembre 2021. Perché? Nel 2016, la Cedu aveva condannato l'Italia nel caso Khlaifia c. Italia per la detenzione arbitraria di cittadini stranieri nel Centro di soccorso e prima accoglienza (Cspa) di Contrada Imbriacola a Lampedusa e a bordo delle navi Vincent e Audacia e per l'assenza di mezzi di ricorso effettivo contro tale trattenimento e le sue condizioni.

Lo Stato italiano, dal 2016 ad oggi, di fatto non ha ancora introdotto disposizioni volte a colmare i vuoti legislativi continuando ad implementare prassi illegittime funzionali a politiche di contenimento e selezione dei flussi migratori che comportano una gravissima violazione dei diritti dei cittadini stranieri in ingresso sul territorio in una condizione di sostanziale invisibilità.