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di Daniele Negri*

Il Riformista, 6 gennaio 2024

Divampa la polemica sulla norma che mira a vietare la pubblicazione integrale o per estratto del testo delle ordinanze di custodia cautelare. Una ridda di accuse ne ha accompagnato l’approvazione alla Camera dei deputati: “bavaglio” alla stampa; “embargo” all’informazione; pericolosa propensione a dilatare l’alone del segreto intorno alle vicende giudiziarie. Qualche giurista non esita a tacciarla di “favore ai delinquenti”, poiché “la verità” finirebbe occultata con la sparizione delle notizie.

L’inno alla trasparenza democratica e alla libertà di espressione dimentica però come, in materia di carcerazione anteriore al giudicato, la pubblicità tuteli il diritto dell’imputato presunto innocente a che la collettività percepisca le ragioni distinte da quelle della pena, alla base del provvedimento. Da Beccaria in avanti dovrebbe essere chiaro che “l’infamia” delle minorazioni patite durante il processo molto dipende dall’immagine che della persona ristretta si trasmette alla “comune opinione”.

Sotto questa luce, nessuna delle critiche sollevate sembra giustificata. Basta scorrere la formulazione dell’articolo bersagliato per capire che l’ordinanza custodiale, una volta eseguita, resterà come oggi conoscibile agli organi di informazione, venendo ugualmente a cadere il segreto sull’atto processuale. La novità sta nel fatto che se ne potrà dare conto all’opinione pubblica solo a condizione di adoperare modalità diverse dalla riproduzione letterale.

Ai giornalisti rimarrà preclusa la via di divulgazione più rapida, comoda e - soprattutto - di maggiore riuscita spettacolare: la messa in pagina immediata e diretta, a scopo stigmatizzante, del verbo dell’autorità giudiziaria. In questo senso il divieto vanta parentele con le misure a garanzia di quel cruciale aspetto della presunzione di innocenza su cui è venuto spostandosi l’accento in ambito europeo (giurisprudenza di Strasburgo e direttiva 2016/343/UE), vale a dire la necessità che le autorità pubbliche e i mezzi d’informazione abbiano cura di evitare, usando un linguaggio sorvegliato nella comunicazione sociale, l’indebita assimilazione al colpevole di chi è semplicemente accusato d’aver commesso un reato.

Equilibrio assai difficile da mantenere di fronte al concreto esercizio del potere di carcerazione cautelare, poiché, quand’anche il giudice non indulga a disinvolte etichettature delle attitudini criminali dell’imputato, esso implica comunque una serie di valutazioni - a cominciare dai gravi indizi di colpevolezza - che anticipano quelle tipiche della decisione finale di condanna.

Non è dunque campato in aria pensare che un rimedio, sia pur blando, consista nell’impedire alla stampa di avvalorare i propri giudizi colpevolisti esibendo a plateale conferma passaggi scelti ad arte dall’ordinanza, così da mutuarne il crisma dell’ufficialità. Né bisogna trascurare quale stile contraddistingua le motivazioni di tali provvedimenti: il discorso del giudice prende facilmente la maniera del collage di atti d’indagine, dove spicca il più delle volte l’enorme mole di pagine contenenti la copia di dialoghi intercettati.

Sono questi ultimi - l’esperienza insegna - che i media hanno interesse a squadernare con proditoria violenza, reputandoli tanto eloquenti della responsabilità dell’indagato da inchiodarlo senza appello. Secondo l’auspicio, invece, gli operatori della comunicazione dovranno impegnarsi nella comprensione degli argomenti del giudice al fine di stendere cronache fedeli alla sostanza, sebbene elaborate ripiegando su forme sintattiche indirette, attente a scansare l’arma più potente e persuasiva.

Nulla garantisce da riletture e sintesi tendenziose, ma senza la tecnica della citazione virgolettata ad asseverarle potrà forse maturare qualche dubbio. L’inconveniente non sfugge: nel baccano delle versioni differenti presentate dai mezzi di comunicazione, all’opinione pubblica resterebbe inibita la verifica di corrispondenza con il testo autentico.

A parte il fatto che il problema si pone anche oggi, essendo la conoscenza dei cittadini sempre mediata, la soluzione risiede sia nel pluralismo dell’informazione, sia nella previsione secondo cui il testo del provvedimento cautelare diventerebbe pubblicabile al termine delle indagini o dell’udienza preliminare. Al riparo dalla furia colpevolista che caratterizza l’esordio del procedimento, scocca finalmente l’ora, anche per il pubblico, del meditato giudizio in contraddittorio.

*Professore ordinario di procedura penale