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di Viviana Lanza

Il Riformista, 3 maggio 2022

“A Carinola, nel reparto destinato ai protetti, manca qualsivoglia divisorio tra il water, il lavabo e il letto”, si legge nella relazione annuale dell’associazione Antigone sullo stato delle carceri. Sembra un dettaglio, invece non lo è. Dà la misura di cosa sia realmente il carcere e di quanto i bisogni elementari e i diritti fondamentali siano ancora mortificati e non tutelati. Pensate a cosa voglia dire dividere con degli sconosciuti una cella in cui non è possibile avere un minimo di privacy nemmeno quando si va in bagno. Immaginate la mortificazione della dignità quando si è costretti a mangiare e dormire nello stesso luogo in cui c’è water o toilette alla turca, quindi a vista. Come si può uscire migliori da posti del genere? Come si può parlare di rieducazione e rispetto della Costituzione?

“Per quanto appaia incredibile e anacronistico - si legge nel rapporto di Antigone sulla situazione all’interno degli istituti di pena di tutta Italia - nel 5% degli istituti visitati ci sono ancora celle in cui il wc non è in un ambiente separato, isolato da una porta ma in un angolo della cella”. Eppure basterebbe poco per ripristinare un minimo, ma veramente un minimo di dignità. Basterebbe una porta. Invece, ci sono solo sbarre e poco altro. In Campania nello scorso anno si sono contati sei suicidi in cella su 57 a livello nazionale. Guardando all’andamento del dato nell’ultimo decennio, Antigone osserva come nei due anni appena trascorsi il tasso dei suicidi in carcere sia particolarmente alto. E la crescita sembra confermarsi anche nel 2022.

L’età media delle persone che si sono tolte la vita in carcere nel 2021 è stata di 42 anni. I più giovani erano due ragazzi di 24 e 25 anni, morti entrambi nel maggio 2021, uno nel carcere di Novara e l’altro nel carcere di Poggioreale a Napoli. Dopo l’istituto penitenziario di Pavia c’è quello di Avellino tra le carceri in cui sono avvenuti più casi di suicidio, tanto per tenere la lente puntata sulla situazione in Campania. L’Organizzazione mondiale della sanità ha accertato che il suicidio è una delle cause più comuni di morte all’interno delle carceri. Secondo statistiche recenti, i casi di suicidio nella popolazione detenuta sono di oltre 13 volte superiori a quelli registrati nella popolazione libera. Accanto a fattori personali, le cause sono da ricercarsi nel fatto che in carcere è più densa la presenza di gruppi vulnerabili, di persone in condizioni di marginalità, di isolamento sociale e di dipendenza. “Per questo motivo - si legge nel report - tra le proposte di riforma del regolamento penitenziario presentate a dicembre 2021, Antigone sostiene la necessità di dedicare maggiore attenzione ad alcuni aspetti della vita penitenziaria”.

Una proposta riguarda la necessità di dare più attenzione al momento dell’ingresso e dell’uscita dal carcere, entrambe fasi particolarmente delicate e durante le quali avvengono numerosi casi di suicidi. “L’introduzione alla vita dell’istituto deve avvenire in maniera lenta e graduale - si spiega nel report - affinché la persona abbia la possibilità di ambientarsi. Maggiore attenzione andrebbe prevista anche per la fase di preparazione al rilascio a fine pena, facendo in modo che la persona venga accompagnata al rientro in società”. Un altro aspetto da potenziare è quello relativo alle attività che i detenuti possono svolgere in carcere. La rieducazione non può essere privilegio di pochi, la formazione e il lavoro dovrebbero essere percorsi più diffusamente accessibili. In Italia il panorama è variegato: ci sono alcune situazioni virtuose dove i detenuti svolgono tutti un’attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria o di datori di lavori privati, e poi ci sono istituti in cui le poche attività lavorative presenti sono quelle domestiche, pulizie, cucina, spesa alle dipendenze dell’amministrazione. A Poggioreale, per esempio, lavorano solo 280 detenuti sui 2.190 presenti.