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di Giovanni Varriale

Il Riformista, 2 giugno 2022

La riforma del processo penale voluta dalla guardasigilli Marta Cartabia è stata a lungo discussa, soprattutto in riferimento alla volontà di ridurre drasticamente i tempi del processo penale che, da molti operatori del diritto, viene considerato lesivo dei diritti costituzionali. A ben vedere, tutti gli ultimi interventi legislativi in tema di giustizia hanno avuto quale fine ultimo quello di ridurre il numero di processi nelle aule di giustizia senza però pregiudicare la tutela dei diritti dei cittadini.

Proprio in quest’ottica, già con la riforma Orlando prima e con la riforma Bonafede poi, si era provato sia ad aumentare il numero dei reati procedibili a querela, così da subordinare l’azione penale alla volontà della persona offesa dal reato, sia a eliminare l’istituto della prescrizione, in modo da rendere praticamente sempre esigibile la eventuale pretesa di condanna da parte dello Stato. La riforma Cartabia, se possibile, cambia del tutto prospettiva. Infatti, se il fine ultimo resta quello di ridurre il carico di procedimenti pendenti nelle aule di giustizia, il modus agendi attraverso il quale ottenere tale risultato, è del tutto innovativo.

Invero lo scopo della attuale riforma è quello di intervenire sin dalle fasi delle indagini preliminari, nel corso della quale, alle Procure viene chiesto un lavoro di accurata valutazione rispetto ai procedimenti per i quali richiedere il rinvio a giudizio. Infatti, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, le Procure saranno chiamate a svolgere un vaglio tra quei procedimenti che, così come recita la norma, possano giungere ad una sentenza di condanna e quelli, invece, destinati a una archiviazione. È chiaro come la ratio non sia quella di affidarsi alle capacità indovine dei Pm né tanto meno quella di pretendere che si svuotino le aule di giustizia, bensì l’intento della riforma appare quello di evitare che le Procure possano, magari ingolosite dal risalto mediatico che potrebbe avere un determinato processo, intraprendere, come per altro spesso successo, una caccia alle streghe.

Proprio, sulla scorta della necessità di responsabilizzare le Procure, viene introdotto un nuovo e rivoluzionario istituto, ovverosia quello della riparazione per ingiusta imputazione, che si affianca al già presente istituto della riparazione per ingiusta detenzione. L’introduzione del suddetto rimedio riparativo vede la sua essenza proprio nella necessità, percepita a buon diritto dal Legislatore, di tutelare coloro i quali si trovino ad affrontare ingiustamente un processo penale. Tale aspetto non può in alcun modo essere sottovalutato, poiché sono svariati i pregiudizi che un soggetto, seppur non detenuto, debba subire quando veste i panni dell’imputato. Infatti, si va dall’annoso problema del c.d. carico pendente che comporta una serie di limitazioni (non poter partecipare ad un concorso pubblico) o mere lungaggini burocratiche (es rilascio del passaporto), fino alla necessità di dover sopportare le annose spese legali.

Finalmente il Legislatore sembra aver empatizzato con i cittadini che, con troppa facilità, loro malgrado, si trovano avviluppati nel turbinio delle maglie di una giustizia spesso veloce nelle fasi di rinvio a giudizio e lenta nei momenti successivi. Aver quindi previsto l’istituto della riparazione per ingiusta imputazione appare, a parere di chi scrive, essere non solo dimostrazione di grande civiltà ma anche dimostrazione concreta di effettivo garantismo. In conclusione, il progetto di riforma appare particolarmente ambizioso ma interessante e soprattutto innovativo poiché richiede un cambiamento di approccio da parte degli operatori del diritto sin dall’iscrizione della notizia di reato.