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di Tommaso Ciriaco

La Repubblica, 1 marzo 2023

L’idea di 100 mila arrivi regolari l’anno per 4 o 5 anni. Meloni irritata con Piantedosi. L’audio del potente responsabile dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, forse il dirigente più vicino a Giorgia Meloni, è inequivocabile: “Dobbiamo dare l’idea che il metodo di immigrazione illegale non è più quello per entrare in Italia - scandisce a Bruxelles - Dobbiamo lavorare meglio su un piano flussi, finora disatteso.

Noi solo quest’anno lavoreremo per far entrare legalmente in Italia quasi cinquecentomila immigrati. Ed è possibile anche con ragionamenti bilaterali o multilaterali con altre nazioni”. Una promessa clamorosa. Capace di scatenare un’enorme attesa, visto che tutto lascia pensare che si tratti dell’annuncio di un imminente - e imponente - decreto flussi. Due ore dopo, il ministro impone una brusca frenata: “Non c’è alcun piano - spiega al telefono - Parlavo della richiesta di forza lavoro che c’è ogni anno in Italia. Solo in Agricoltura, 150 mila”.

Basta un attimo, come detto, a smuovere gli equilibri nell’esecutivo. Da settimane Palazzo Chigi preme sul Viminale per ipotizzare un decreto flussi più largo dell’attuale, probabilmente costruito con un meccanismo premiale: quanto minore è l’immigrazione illegale da un Paese, tanto più aumentano le quote legali di accesso per quel Paese. In particolare, si punta sulla Tunisia. Ma la cifra - cinquecentomila in un anno - è talmente alta che ai ritmi attuali basterebbe a coprire sei anni di ingressi.

E allora, cosa c’è dietro alle parole di Lollobrigida, che lavora in simbiosi con Meloni? E perché poi ha dovuto rettificare? Al Viminale nessuno conosceva un piano del genere. E comunque, nessuno pensa di poter gestire un flusso simile. Semmai, l’idea è arrivare ad accogliere - o a dire di voler accogliere - centomila (forse anche 125 mila) persone ogni dodici mesi. Si tratterebbe di un piano quadriennale o quinquennale, dunque. Ma possibile che Lollobrigida sia caduto in un errore del genere?

Bisogna scavare ancora. E partire da un altro dato: a Palazzo Chigi inizia a farsi largo la consapevolezza che gli slogan elettorali non riusciranno a fermare le dinamiche migratorie con cui hanno dovuto fare i conti i precedenti esecutivi. Per questo, provano a correre ai ripari. Da una parte, chiedendo all’Ue di contribuire a frenare gli sbarchi illegali, offrendo in cambio un allargamento dei flussi giudicati regolari. Un meccanismo che assorba almeno in parte (e in un certo senso “copra” sul fronte dell’opinione pubblica) l’importante flusso di partenze previste in primavera. Come? Il dettaglio non è chiaro, ma l’obiettivo politico sì: mostrarsi paladini dell’immigrazione legale, battere i pugni a Bruxelles per reclamare interventi drastici sul confine Sud dell’Europa.

È un progetto di difficilissima realizzazione, sul piano pratico. E c’è anche altro da valutare. C’è la profonda irritazione di Meloni per la gestione che Matteo Piantedosi ha avuto della tragedia sulle coste calabresi. Una debacle sul fronte della comunicazione, innanzitutto. Senza sottovalutare un altro aspetto: la ricostruzione degli eventi che hanno portato all’incidente. In questo senso, non è sfuggita la richiesta di chiarimenti su eventuali lacune nella catena di salvataggio che il meloniano Alberto Balboni ha avanzato ieri in Parlamento a Matteo Piantedosi. Un quesito che chiama in causa anche Matteo Salvini, che gestisce la Guardia Costiera.