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di Liana Milella

La Repubblica, 13 settembre 2023

Presenta la bozza conclusiva del lavoro fatto insieme al forzista Zanettin e al meloniano Berrino. Le intercettazioni sono “irrinunciabili”, checché ne dica il guardasigilli Carlo Nordio che sta giusto preparando un intervento su questo. Sono “uno strumento di ricerca della prova”, ma vanno evitati “gli abusi e la compressione delle libertà fondamentali”. Dunque, correzioni legislative sì, tutela della privacy sì, ma nessuna proposta che equivalga a una stretta indiscriminata sulla possibilità di utilizzare gli ascolti.

Al Senato la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno presenta la bozza della relazione conclusiva del lungo lavoro fatto assieme ai correlatori Pierantonio Zanettin di Forza Italia e Giovanni Berrino di FdI. Ed è molto indicativo che a parlare di ascolti in questo modo - maggiori garanzie sì, ma le intercettazioni sono fondamentali per trovare la prova - siano tre esponenti del centrodestra che rappresentano tutta la maggioranza. Uno stop proprio a tentativi di limitare le intercettazioni anche in vista delle norme in cottura in via Arenula.

Relazione corposa e tecnica di 53 pagine, dopo aver ascoltato una cinquantina di esperti tra magistrati, forze di polizia, garanti, costituzionalisti e giuristi, nonché magistrati famosi sia in servizio che in pensione, e che nelle ultime 15 fornisce al governo i suggerimenti per adeguare il sistema delle intercettazioni in chiave garantista. Come scrive la relazione “il livello delle garanzie va reso proporzionale al grado di invasività dello strumento”. Soprattutto perché la gestione è affidata ai privati. Al centro dell’attenzione c’è il Trojan che richiede nuove regole d’ingaggio. A partire dalla sua capacità di “acquisire documenti o realizzare ispezioni e perquisizioni”. Qui viene subito sollecitata “una disciplina specifica che attui il principio di proporzionalità per ricondurre il captatore informatico nell’alveo dei mezzi di ricerca della prova”.

Proprio come sostiene il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Gianni Melillo - che giusto ieri alla Camera ha difeso il decreto legge del governo per “salvare” le intercettazioni sulla criminalità organizzata - la sfida è tutta tecnologica perché l’Italia è palesemente indietro rispetto ad altri paesi. Infatti la relazione cita proprio il decreto-legge del 10 agosto, nella parte in cui prevede un adeguamento dei server in capo al ministero della Giustizia, lo stesso “promosso” da Melillo poche ore prima della relazione al Senato di Bongiorno, Zanettin e Berrino.

Ovviamente il rapporto mette in luce anche i punti negativi del sistema delle intercettazioni, a partire dal “diritto di difesa” subito dopo il deposito dei risultati delle intercettazioni “per via dei limiti posti all’ascolto delle registrazioni ritenute non rilevanti dal pm che rappresenta un vulnus nella misura in cui non consente sempre al difensore di poter esaminare il materiale intercettato aldilà della valutazione di rilevanza compiuta dal pm”. E ancora l’utilizzo degli ascolti in un procedimento diverso da quello per cui sono stati chiesti, già disciplinato dalla sentenza Cavallo delle Sezioni unite della Cassazione.

Le intercettazioni preventive - Il Guardasigilli Nordio le preferisce e soprattutto nei primi interventi del suo dicastero sembrava propendere per questa soluzione. Parliamo di intercettazioni disposte dalla polizia e quindi incontrollabili anche perché non utilizzabili dai giudici nel processo. E qui la commissione spezza una lancia contro questo tipo di intercettazioni laddove scrive che “la tutela della riservatezza e della sfera individuale dei cittadini possono essere assicurati solo attraverso idonee procedure di garanzia, necessariamente inserite all’interno di un procedimento giurisdizionale”. E aggiunge che “solo la supervisione di un giudice terzo ed imparziale è in grado di assicurare un costante controllo delle procedure e la tutela di diritti inviolabili degli individui”. Seguendo questa strada le intercettazioni finirebbero “per diventare indiscriminatamente mezzi di ricerca della prova senza che su di esse possa direttamente fondarsi la decisione del giudice”, mentre “deve essere riaffermato il perimetro fissato dall’articolo 15 della Costituzione per cui il limite del principio di inviolabilità e segretezza della corrispondenza e di ogni forma di comunicazione può avvenire soltanto in forza di un atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”. Un richiamo forte alla Costituzione che non ammette deroghe.

Intercettazioni e stampa - A fronte di richieste drastiche, come quelle di Enrico Costa di Azione, di vietare del tutto la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare, autorizzata dalla riforma del 2017 dell’allora Guardasigilli Andrea Orlando, la commissione dà un consiglio alle procure e scrive: “Appare fondamentale un self restraint del pm, ma anche della polizia giudiziaria di non scrivere conversazioni che appaiono prive di rilevanza processuale”. E ne tantomeno quelle che contengono dati sensibili. Peraltro la commissione dà atto che “dell’entrata in vigore delle nuove norme c’è stata una forte riduzione delle intercettazioni venute a conoscenza degli organi di informazione e quelle diventate oggetto di cronache giornalistiche sono state sempre di rilevante interesse pubblico”. E cita la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo che ha stabilito “la possibilità di pubblicare le intercettazioni quando vi sia un interesse pubblico in quanto la collettività deve essere informata sui procedimenti penali di interesse generale”.

La durata delle intercettazioni - Arriva a pagina 51 uno dei capitoli più delicati sulle intercettazioni, e cioè la loro proroga quando sono già in atto. Anche se la commissione scrive che “la loro durata potrebbe diventare incompatibile con l’inviolabilità della segretezza e della libertà delle comunicazioni determinando anche il rischio di un’inutile compressione di tali diritti fondamentali”. E qui la relazione suggerisce a Nordio “un intervento chiaro prevedendo che il pm, di fronte a nuovi indizi relativi ad altro reato e ad altro indagato, debba procedere a una nuova iscrizione, a un nuovo procedimento o a una nuova richiesta di autorizzazione, mentre ove si tratti di reati collegati che non richiedono una nuova iscrizione, il termine dovrebbe decorrere dalla prima iscrizione”. Il suggerimento della commissione, sull’esempio tedesco e francese, è che sia prevista “una durata fissa tout court”. E per dare maggiori garanzie la commissione suggerisce che “il giudice esamini sin dall’inizio l’intero fascicolo delle indagini al fine di poter conoscere il contesto e il ruolo del soggetto che si intende intercettare”.

Il Trojan - Sotto accusa c’è proprio il captatore informatico a cui la commissione ha dedicato molta attenzione, anche con la visita alle sale ascolto di Roma e di Milano. La relazione ne mette in evidenza “la spiccata efficacia intrusiva” che rende necessario “prevedere rimedi al rischio di alterazione”. La commissione chiede di prevedere “legislativamente il tracciamento obbligatorio di tutte le operazioni effettuate in modo da registrare eventuali manipolazioni”. Dunque una “specifica block chain per i captatori informatici”, come chiede lo stesso procuratore Melillo. Con cui la commissione condivide anche il problema della delocalizzazione dei server in territori non italiani. Dal punto di vista processuale la commissione ipotizza casi di “inutilizzabilità” in caso di incertezze interpretative.

White list degli operatori - È molto ampio il capitolo che riguarda gli operatori privati che concretamente effettuano le intercettazioni, con la richiesta di disporre di white list e di poter verificare con ampiezza le procedure informatiche utilizzate dal committente che deve garantire la certificazione dei software. Anche in questo caso la commissione approva la scelta del decreto di agosto che mette in capo al ministero della Giustizia la tenuta dei server in cui saranno raccolte le intercettazioni fatte nelle procure di tutta Italia.

Le garanzie per gli avvocati - Frutto del lavoro di ben due legali, Bongiorno e Zanettin, ovviamente la relazione presta attenzione alle “garanzie degli avvocati difensori” a cui dedica un espresso capitolo nelle conclusioni. Con un duplice riferimento alle ultime leggi sulle intercettazioni del 2017 e del 2019 firmate da Orlando la prima e Alfonso Bonafede la seconda. I futuri interventi dovranno andare “nella prospettiva di una riforma delle garanzie per gli avvocati a tutela del diritto di difesa”. E qui segue un elenco puntuale, a partire dalla “inviolabilità delle comunicazioni fra difensore ed assistito, elemento essenziale del diritto di difesa della persona accusata di un reato”. Soprattutto alla luce di “una progressiva erosione del principio della segretezza delle conversazioni tra difensore e assistito”. E sempre dalla parte degli avvocati è il capitolo dedicato all’ascolto delle intercettazioni non rilevanti che possono comportare anche “ore e ore”. Alcune procure, come quella di Perugia del procuratore Raffaele Cantone, sono venute incontro agli avvocati, ma la commissione sollecita regole generali per garantire, anche in questo caso, “il diritto di difesa e la possibilità di individuare nel materiale intercettato elementi a favore del proprio assistito”.

I criptofonini e il dark web - Il capitolo conclusivo è dedicato ai telefoni che “consentono la comunicazione sia vocale sia di messaggi in forma cifrata attraverso piattaforme e server spesso dislocati all’estero”. Un’altra “ossessione” di Melillo. Strumenti che aggirano la possibilità di intercettare. Qui i relatori sollecitano un intervento che consenta anche l’intercettazione di questi mezzi. Stessa attenzione per il dark web, una sorta di Internet parallelo a cui non si accede con i normali strumenti di navigazione e per cui la commissione sollecita “soluzioni sia normative sia organizzative che rafforzino la capacità di contrasto dell’autorità giudiziaria e delle forze di polizia”.